email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

CANNES 2024 Semaine de la Critique

Saïd Hamich Benlarbi • Regista di La Mer au loin

“Ho vissuto l’esperienza dell’esilio”

di 

- CANNES 2024: Nel suo nuovo film, il regista franco-marocchino rende omaggio ai sognatori e a coloro che non si sentono mai veramente a casa

Saïd Hamich Benlarbi • Regista di La Mer au loin
(© Gabriel Renault)

La musica è ovunque in La Mer au loin [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Saïd Hamich Benlarbi
scheda film
]
di Saïd Hamich Benlarbi, presentato in proiezione speciale alla Semaine de la Critique di Cannes. Il film è incentrato su Nour (Ayoub Gretaa), immigrato illegalmente a Marsiglia. Tutto cambia quando incontra un poliziotto e sua moglie (Grégoire Colin e Anna Mouglalis), che vivono liberamente e lo incoraggiano a fare lo stesso. Ma il decennio che segue non è facile per Nour.

Cineuropa: Il suo film ha qualcosa di molto noir: un poliziotto, un uomo che sta scappando da qualcosa e una donna con cui entrambi sono coinvolti.
Saïd Hamich Benlarbi:
È vero, inizia quasi come un noir, ma poi si concentra sui rapporti di amicizia e di amore dei protagonisti. Il riferimento principale è il melodramma, in particolare i film di Douglas Sirk, La paura mangia l’anima di Fassbinder e film italiani come C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. L'idea era quella di partire da un gruppo di amici e di seguire le loro traiettorie di esilio, ma di ancorarli a qualcosa di intimo e di vivere le cose insieme a loro, attraverso le emozioni. In questo senso, il melodramma mi ha permesso di dare a questi personaggi una forte traiettoria narrativa.

Il triangolo che si forma in seguito è intrigante, aperto, forse un po' anticonvenzionale. Come ha concepito il loro affetto reciproco?
Una delle idee chiave che mi ha guidato è stata quella di mettere in discussione la nostra identità e il nostro senso di appartenenza. Volevo mostrare che quando si è in esilio, la nostra casa è costituita da altre persone: la nostra identità è costituita dalle persone che amiamo e con cui viviamo. In questo senso, il protagonista si reinventa nel suo rapporto con Noémie attraverso l'incontro con Serge. Questi due personaggi gli aprono gli occhi e lo spettro delle possibilità. Alla fine, accetta di far parte di una famiglia, fuori dagli schemi.

Perché ha voluto seguire il suo protagonista per così tanto tempo? Per tutto il decennio?
Per me l'esilio è una questione di durata e per raccontare la storia avevo bisogno di questa ampiezza romanzesca. Volevo vedere come il tempo lo avesse segnato in questa esperienza. C'è una frase che riassume il film e il suo trattamento del tempo: "I giorni sono infiniti e gli anni volano".

A un certo punto, non appartiene più a nessun luogo. Non al suo vecchio paese e certamente non a quello nuovo. C'è qualcosa di molto tragico in questa consapevolezza, ma molti la sperimentano.
Per me è un tema importante perché ho vissuto l'esperienza dell'esilio, da quando lasciai il Marocco con i miei amici e mia madre all'età di 11 anni. Ora è qualcosa di fondamentale: fa parte della mia identità e persino del mio carattere. Per me l'esilio si cristallizza quando raggiungi la fine delle tue fantasie sulla partenza e sul ritorno. Perché non ci si sente mai a casa, e quando si torna non si è più a casa e si prova una sorta di tradimento. Non resta che costruire una nuova vita.

Perché la musica e la danza sono una parte così importante della storia? Lascia molto spazio a questi aspetti.
La musica raï [una forma di musica popolare algerina che risale agli anni '20] è stata una delle principali forze trainanti di questo progetto. E poiché ha vissuto il suo periodo d'oro a Marsiglia tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, era importante per me ancorare questa musica – e la città di Marsiglia – al presente e alla vita quotidiana dei miei personaggi. Il raï è andato in esilio in Francia e si è anche "reinventato" attraverso l'esilio. Molte delle canzoni affrontano questi temi in modo molto diretto. C'è un forte equilibrio tra la malinconia, l'amore o la nostalgia di casa, e un intenso desiderio di vita, di festa e di danza. In generale, quando si è in esilio, il rapporto con la musica delle proprie origini è spesso molto forte, arcaico e potente allo stesso tempo. Durante la scrittura del film, il raï è stato sia un alleato che una bussola, permettendomi di trovare il giusto equilibrio tra il sociale e il melodrammatico.

Alla fine, qualcuno dice: "Almeno abbiamo passato dei bei momenti". Era importante per lei sottolineare questo aspetto e trovare la gioia nonostante tutto quello che sta succedendo?
Una delle principali ispirazioni del film è stata L'educazione sentimentale [di Gustave Flaubert]. È una frase presa in prestito direttamente dal romanzo, quando Frédéric rivede il suo vecchio amico Deslauriers e ricordano il passato. È un riferimento molto importante nel film, perché il mio obiettivo non era quello di trattare questi viaggi solo da un punto di vista sociale e sociologico. Volevo dare loro una dimensione intima. Per me, questo conferisce una singolarità ai personaggi – le loro preoccupazioni sono in realtà molto comuni. Li allontana dagli stereotipi su cosa sia un "migrante" e li rende più umani.

(Tradotto dall'inglese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy