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CANNES 2024 Quinzaine des Cinéastes

Caroline Poggi e Jonathan Vinel • Registi di Eat The Night

“I personaggi lottano con i loro mezzi contro questa depressione ambientale che investe un'intera epoca"

di 

- CANNES 2024: I registi francesi parlano del loro secondo lungometraggio, un'audace opera ibrida su cui aleggia un sentore di fine del mondo

Caroline Poggi e Jonathan Vinel • Registi di Eat The Night
(© Ph. Lebruman)

Presentato alla Quinzaine des Cinéastes del 77mo Festival di Cannes, Eat The Night [+leggi anche:
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è il secondo lungometraggio dei cineasti francesi Caroline Poggi e Jonathan Vinel.

Cineuropa: Da dove nasce l’idea di questo film che oscilla tra il mondo reale e quello virtuale di un videogioco?
Jonathan Vinel
: Volevamo fare un film nel mondo reale, a differenza di Jessica Forever [+leggi anche:
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che mirava a creare un mondo virtuale nel mondo reale. Qui volevamo ancorare il film geograficamente, ed è per questo che abbiamo girato a Le Havre. Il film è anche un po' più narrativo, mescolando molti desideri e voglie, e segmentato dall'annuncio della chiusura di un server di videogiochi, che struttura l'intero film.

Avete creato un videogioco per l'occasione? Come avete fatto?
Caroline Poggi
: Avevamo un budget ridotto da film d'autore, quindi abbiamo dovuto trovare i mezzi per creare questo gioco senza passare per un grosso studio. Ma avevamo preso confidenza con il 3D già da diversi film e col tempo abbiamo trovato un nostro team, composto da persone sotto i 30 anni che hanno imparato un po' di cose sul 3D. Sono stati loro, insieme a qualche collaboratore occasionale, a farsi carico di tutto questo insieme a noi. Ci sono voluti 13 mesi.

E l'atmosfera da fine del mondo, sia nel gioco che nella vita reale?
J.V.
: Non volevamo fare un film nichilista. È semplicemente realistico e ovvio: il mondo è in cattive acque. Ogni giorno leggiamo sui media della fine del mondo: l'estinzione delle specie, il cambiamento climatico, il tasso di suicidi tra i giovani, che recentemente è quasi raddoppiato in Francia, e così via. L'idea del film è come, in questo clima, si cerchi ancora di andare verso la luce. I personaggi lottano con quello che hanno contro la depressione imperante che affligge un'intera epoca e vogliono uscirne. Ma il film è comunque una tragedia perché sono intrappolati in questo sistema.

Una vita da sogno nei videogiochi e lo spaccio di droga come motore della trama realistica: volevate parlare di dipendenza?
C.P.
: No. Noi stessi siamo giocatori. È un nuovo linguaggio, un modo di vivere per un'intera generazione. Certo, a un certo punto, quando si arriva agli estremi, tutto diventa dannoso. Ma il mondo diventa così duro e ci isola così tanto che, quando entriamo in questi universi, le cose diventano più semplici: sono rifugi dove è facile andare, incontrare persone, metterci dentro i propri sentimenti e il proprio viaggio intimo. Ma agli estremi, questo può annientare le emozioni reali: si può scaricare la propria rabbia in un gioco e non essere più ribelli nella vita. E c'è sempre il rischio di perdersi in esso. È lo stesso con le droghe, anche se nel film si tratta di ecstasy, una droga che ricrea chimicamente la felicità. Ma c'è un vuoto nel mondo che deve essere colmato. A questo si aggiunge l'idea di arrangiarsi in un mondo “uberizzato” che offre così poche possibilità.

J.V.: Abbiamo cercato di non avere una visione morale di quello che c'è in giro. Ci sono molti luoghi comuni sui videogiochi, come dire che quando ci sono le rivolte sono quelli che hanno trasformato i giovani. Al contrario, e uno studio lo ha dimostrato, i giochi ci permettono di lasciar andare la violenza nel mondo e di evitare che si verifichi nel mondo reale. C'è quasi un effetto terapeutico nell'eccessiva violenza dei giochi.

C.P.: Per quanto riguarda le droghe, possono essere sia veleni che rimedi.

(Tradotto dal francese)

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