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KARLOVY VARY 2024 Proxima

Paula Ďurinová • Regista di Lapilli

"Nel buio totale di una caverna, dove non c'è modo di fuggire verso un'altra realtà, si può porre qualsiasi domanda"

di 

- La regista parla della sua esplorazione del dolore e della memoria, della fusione tra autofiction e saggio documentario, e delle influenze interdisciplinari sul suo lungometraggio d'esordio

Paula Ďurinová  • Regista di Lapilli
(© Film Servis Karlovy Vary)

Paula Ďurinová, regista e artista visiva di origine slovacca e residente a Berlino, è nota per il suo interesse nel creare paesaggi utopici ed esplorare forme di resistenza. I suoi cortometraggi sono stati presentati in festival internazionali come Sarajevo, Ji.hlava IDFF, One World Prague e CinéDOC Tbilisi. Ďurinová è stata anche direttrice artistica e curatrice della ACUD Galerie di Berlino. Cineuropa ha parlato con la regista di Lapilli [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Paula Ďurinová
scheda film
]
, proiettato nel concorso Proxima del Karlovy Vary IFF, che è un'esplorazione personale del dolore e della memoria attraverso le formazioni geologiche.

Cineuropa: Lapilli è un film profondamente personale che esplora il dolore e la memoria attraverso la lente delle formazioni geologiche. Può dirci qualcosa di più sull'ispirazione iniziale di questo progetto e su come l'improvvisa perdita dei suoi nonni abbia influenzato la narrazione?
Paula Ďurinová: Lapilli è stato creato come un lavoro basato molto sul processo. È iniziato in modo intuitivo. Dopo l'improvvisa scomparsa dei miei nonni, mi sono trovata di fronte a una nuova realtà che spesso avevo represso. Poco dopo la loro morte, sono diventata ossessionata dalla storia del Mare d'Aral, un tempo il più grande specchio d'acqua interno del mondo, che è quasi scomparso nel corso della nostra vita. Mentre facevo ricerche sulle fasi del lutto, ho cominciato a vedere dei collegamenti con la storia del lago scomparso.

Nella mia mente comparivano immagini di rocce, sassi e valli rocciose. Decisi di seguire la mia intuizione e di visitare alcuni luoghi rocciosi. Forse inconsciamente, sapevo che questo aveva a che fare con il mio dolore. La materia dura mi dava un senso di tempo congelato, ma era anche una proiezione di qualcosa nella sua fase “finale”.

Lapilli ha l'aspetto narrativo di un viaggio attraverso un paesaggio da cui l'acqua si è ritirata, e mentre seguiamo la sua precedente influenza, ci impegniamo e facciamo i conti con la materia dura che rimane. Ma troviamo anche nuovi processi che si svolgono da sé. Il processo di elaborazione del lutto e quello di lavorazione del film si sono fusi.

Lapilli sfuma i confini tra autofiction e saggio documentario. Come si è mossa tra questi generi?
All'inizio non mi sono chiesta molto perché avessi bisogno di stare con le rocce. Man mano che procedevo, mi sono incuriosita delle filosofie e delle interpretazioni del paesaggio – deserti, vulcani, grotte e così via. Questo mi ha offerto diversi modi di vedere la cosa, ad esempio interconnettendo il geologico e il mistico. Lì ho scoperto la storia dei miei nonni e tutto ha avuto più senso.

Scrivere la voce fuori campo è stato impegnativo, perché ho lottato per esprimere meglio alcuni aspetti personali. Ero vaga, non davo molti indizi allo spettatore. È stato soprattutto grazie all'aiuto dei consulenti per la sceneggiatura, Dane Komljen e Tamara Antonijević, che sono riuscita ad allontanarmi dall'aspetto strettamente personale e a capire di cosa avesse bisogno il film.

Il film presenta significativi elementi formalistici, con un'attenzione particolare all'estetica visiva e uditiva. Può parlarci di come li ha affrontati?
Ho dedicato molto tempo alla ricerca dei luoghi. Lo stesso processo di elaborazione del lutto ha influenzato il ritmo del film e la sua dinamica, permettendomi di catturare l'inquietudine, i momenti di pausa o, per esempio, la paura. L'aspetto dello sguardo, del prendersi il tempo necessario, è stato molto importante, non solo nel lavoro di ripresa, ma anche nel montaggio.

Ho lavorato con vecchi obiettivi fotografici Carl Zeiss che catturano la plasticità dell'ambiente e i bordi della roccia. Volevamo che il film fosse sensoriale. L'interazione tra gli aspetti visivi, sonori e di montaggio di Lapilli è stata molto importante. Insieme ad Agnese Menguzzato, abbiamo creato il paesaggio sonoro del film da zero, componendo suoni che rappresentassero non solo la memoria trascritta nel mio corpo, ma anche la nostra interpretazione della memoria del paesaggio.

Il suo film si basa su ricerche interdisciplinari di geologia, antropologia e filosofia. In che modo queste discipline hanno influenzato il film?
Potrei rispondere con un esempio, anche se un approccio simile attraversa tutto il film. A un certo punto, mentre lavoravo al film, sono stata attratta intensamente dall'ambiente della grotta. Non riuscivo a capire perché volessi passare del tempo lì. Dovevo semplicemente andare nelle grotte. Solo dopo alcune ricerche e discussioni con l'antropologo Peter Laučík, che studia l'antropologia del sottosuolo, ho capito che si trattava di un luogo di immersione nella perdita e nel trauma, ma anche di uno spazio sicuro da cui affrontare le emozioni depressive e prepararsi alla vita successiva. Nel mio film volevo trasmettere questo aspetto di incubazione della grotta. È un luogo in cui lo spazio e il tempo hanno un significato completamente diverso. Nell'oscurità totale di questo ambiente, dove non c'è modo di fuggire verso un'altra realtà, ci si può porre qualsiasi domanda.

(Tradotto dall'inglese)

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