Radu Jude, Christian Ferencz-Flatz • Regista di Eight Postcards from Utopia, Sleep #2
“Il cinema può incorporare ogni genere di cose e rimanere comunque cinema”
- Il regista e il filosofo discutono i loro approcci al cinema, esplorando l'uso del materiale d'archivio e l'interazione tra pubblicità e ideologia

Il pluripremiato regista rumeno Radu Jude ha presentato al Festival di Locarno i suoi due ultimi lavori, Eight Postcards from Utopia [+leggi anche:
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scheda film], che ha co-diretto con il filosofo Christian Ferencz-Flatz, e Sleep #2 [+leggi anche:
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scheda film] (entrambi proiettati fuori concorso). Cineuropa ha incontrato i due registi per parlare delle loro opere sperimentali.
Cineuropa: Eight Postcards from Utopia si concentra sull'intersezione tra storia, pubblicità e ideologia nella Romania post-socialista. Perché avete scelto la pubblicità?
Christian Ferencz-Flatz: Le pubblicità sono molto importanti per il periodo di transizione della Romania, che va dalla caduta del regime di Ceausescu all'adesione del Paese all'Unione Europea. Da un lato, negli spot si può vedere molto di ciò che accadeva durante questo periodo, quindi si tratta di materiale documentario di ottima qualità. Gli spot sono lettori molto attenti dello Zeitgeist. Per funzionare, devono sapere quali tasti premere. Erano molto sensibili a ciò che accadeva nella mente delle persone. D'altra parte, gli spot pubblicitari sono stati i veri responsabili storici di ciò che stava accadendo in quel periodo. Hanno davvero trasformato la società rumena in vari modi. E utilizzando questi materiali si recupera l'accesso ad alcune energie emotive.
Radu Jude: Per me si trattava della domanda di André Bazin: "Che cos'è il cinema?". Abbiamo appena parlato con alcuni giovani registi e critici, e uno di loro mi ha chiesto: "Perché fai film con immagini che non sono state originariamente create per il cinema?". Penso che sia molto importante arricchire il cinema ed espanderlo. Il cinema può incorporare ogni genere di cose e rimanere comunque cinema. L'idea era proprio questa: ridisegnare queste immagini attraverso il montaggio e uno sguardo particolare. Anche i titoli dei capitoli sono molto importanti perché sono una cornice attraverso la quale si può vedere il materiale sotto una nuova luce.
Quando vengono accostati così tanti filmati, spesso appare come un'iperbole del capitalismo. È una cosa voluta?
C.F.-F.: Direi che è più un effetto collaterale, ma rende il film più difficile da leggere in tutti i suoi strati. Il modo migliore per guardare Eight Postcards from Utopia è forse quello di vederlo su un computer portatile. Vedere il film al cinema fa sicuramente un certo effetto: si vedono i filmati su scala più ampia e si notano le differenze nella grana dell'immagine, che parlano dello stato dell'archivio e così via. Ma per accedere agli strati più profondi del film, è meglio poter rallentare, mettere in pausa e rivedere alcune parti del film.
Alcuni spot non hanno un finale, perché vengono tagliati prima della battuta finale.
R.J.: Sì, in molti casi, perché l'idea era di ricontestualizzarli e di estrarre, se vogliamo, gli elementi documentari o quelli che confermano le ipotesi dei titoli. I materiali sono così eterogenei nella pubblicità che bisogna fare queste scelte. Altrimenti sarebbe il caos.
C.F.-F.: In realtà c'è una sorta di progressione nel modo in cui siamo intervenuti dal primo all'ultimo capitolo. All'inizio non era del tutto intenzionale, ma abbiamo iniziato con una sorta di rispetto per il materiale, assemblando interi pezzi di pubblicità nelle sezioni precedenti. Il primo capitolo è incentrato sulla storia, quindi tratta le pubblicità più come documenti, con un approccio documentaristico più tradizionale. Ma man mano che il film procede, diventa più giocoso e più fittizio. Gli interventi sono più profondi e più evidenti.
Sleep #2 sembra un'esperienza completamente diversa. Ha lavorato a questi progetti contemporaneamente?
R.J.: Tutti i miei progetti tendono a sovrapporsi a un certo punto, ma la fase più importante per entrambi - il montaggio - è stata realizzata separatamente. Qui vengono proiettati insieme, e ogni volta che si vedono due cose insieme, il cervello trova delle connessioni. Ma ci sono festival che ne proiettano solo uno. Il collegamento principale tra i due film è che entrambi sono film di montaggio realizzati con materiale non originariamente destinato a essere visto come cinema o come opera d'arte. Sleep #2 è un dialogo-omaggio con Andy Warhol e il suo cinema. Ma a parte questo, i due film offrono esperienze di visione completamente diverse. Alcuni hanno trovato Sleep #2 noioso, soprattutto se cercano di guardarlo con la stessa mentalità di Eight Postcards from Utopia.
Come ha scoperto la webcam della tomba di Andy Warhol?
R.J.: Mi sono imbattuto in un articolo su Warhol e ne sono rimasto affascinato. Ho iniziato a registrare le riprese della webcam senza uno scopo preciso, forse solo per fare un breve scherzo video. Ma col tempo l'idea è cresciuta e si è trasformata in un film completo.
C'è qualcosa di interessante nel fatto che Eight Postcards from Utopia sembra un film, mentre Sleep #2 potrebbe facilmente essere un'installazione da galleria.
R.J.: È difficile rispondere a questa domanda, perché ciò che un tempo chiamavamo cinema e videoarte oggi si sovrappongono molto di più. Entrambi i film hanno un inizio e una fine e credo che debbano essere guardati nella loro interezza per essere compresi appieno. Un loop in un museo significherebbe poter guardare solo uno o due minuti.
C.F.-F.: In realtà, credo che Eight Postcards from Utopia funzionerebbe anche su otto o nove schermi separati in uno spazio espositivo.
(Tradotto dall'inglese)
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