VENEZIA 2024 Settimana Internazionale della Critica
Aude Léa Rapin • Regista di Planète B
“In Planète B, le persone non parlano, agiscono”
di Marta Bałaga
- VENEZIA 2024: Nel suo film ambientato nel 2039, con Adèle Exarchopoulos, la regista francese porta sul tavolo fantascienza, ecologia e politica

In Francia, nel 2039, gli attivisti ambientali lottano per la libertà. Ma lo Stato ha idee diverse e li fa sparire, senza lasciare traccia. Una di loro è Julia (Adèle Exarchopoulos). Dove finiscono? In una prigione virtuale chiamata Pianeta B, un finto paradiso dove non si può morire, ma dove allo stesso tempo non c'è vita. Abbiamo parlato con la regista Aude Léa Rapin del suo film Planet B [+leggi anche:
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intervista: Aude Léa Rapin
scheda film], selezionato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia.
Cineuropa: Quando si parla dei cosiddetti "film da festival", quelli di fantascienza di solito non fanno parte della lista. Perché ha voluto fare qualcosa di diverso?
Aude Léa Rapin: Mi piace molto la fantascienza, soprattutto in letteratura. Ho letto romanzi di questo tipo durante la mia adolescenza, ma non c'erano molte scrittrici. E, come diretta conseguenza, non c'erano abbastanza eroine. Non so perché, ma all'epoca non mi dispiaceva. Ero abituata a seguire storie maschili. In seguito, ha iniziato a darmi fastidio. Credo che #MeToo abbia avuto a che fare con questo.
Fare un film di fantascienza con le donne è stato il mio primo pensiero. Il secondo aveva a che fare con la politica. Le storie di fantascienza possono dire molto su ciò che stiamo vivendo ora e su ciò che potremmo vivere in futuro. Ma per fare fantascienza servono soldi. Non puoi farlo con i tuoi amici, come ho fatto con il mio primo film [Les héros ne meurent jamais [+leggi anche:
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intervista: Aude Léa Rapin
scheda film]]. Tuttavia, ho voluto provarci, perché mi sembrava il momento giusto.
Nella storia si dice che questa prigione virtuale potrebbe essere usata per i rifugiati o altri gruppi di persone "indesiderate". Un'idea molto attuale. Voleva dire la sua su quello che osserviamo oggi?
Sì, e sulla tecnologia utilizzata non per migliorare la nostra condizione umana, ma piuttosto per intrappolare e traumatizzare le persone. Qualche giorno fa, passando per Monaco, ho visto telecamere ovunque. È tutta una questione di controllo e di assicurarsi che le persone seguano le regole. Inoltre, volevo mostrare come trattiamo gli eco-attivisti in tutto il mondo. Non so perché, visto che non sono nemmeno armati. In Francia sono sorvegliati. Perché? Credo perché hanno ragione. La distruzione dell'ambiente è innegabile, indipendentemente dalla propria posizione politica. È spaventoso ed è per questo che ho voluto parlare di loro nel film.
Sono anche ridicolizzati, basti pensare a Greta Thunberg.
Quando Greta Thunberg è venuta in Francia, alcune persone sembravano annoiate. Non ascoltavano. Sono nata vicino a una regione che è al centro delle proteste ecologiche in Francia. I miei amici d'infanzia sono coinvolti in questo movimento. Si trovano di fronte a tanta violenza e sono tutte persone molto diverse tra loro. Volevo che questo fosse presente nel film: volevo mostrare persone normali. Non sono fighters, riflettono la società in cui viviamo. Non mi chiedo se questa lotta sia giusta, sono già dalla loro parte. Ho una figlia piccola che dovrà affrontare un futuro difficile, ed è per questo che in Planet B le persone non parlano, ma agiscono.
L'idea di una "prigione virtuale" è molto credibile, come le è venuta in mente?
Ha mai sperimentato la VR? Qualche anno fa ero a un festival e ci hanno chiesto di provare questa nuova tecnologia. Ho indossato una cuffia e ho perso il contatto con la realtà. Alcuni sostengono che tra una decina d'anni saremo sempre in questo spazio virtuale. Ho sentito dire che in alcuni Paesi si sta già testando questa tecnologia avanzata sui detenuti, ad esempio su uomini con un passato di violenza sulle donne. Può sembrare molto realistico.
Questa prigione è in realtà il luogo più bello del film. Il mondo reale è già distrutto. Stava pensando a qualcosa di simile a Blade Runner?
Non avevamo il budget di Blade Runner, e nemmeno quello di I figli degli uomini, ma ho cercato di creare una realtà che fosse credibile. Si possono già trovare luoghi dove è buio, sporco e nessuno comanda più. Dove la gente lotta per avere i documenti in ordine. Questa storia è anche un racconto sui migranti. In molti film vengono mostrati come vittime, ed è comprensibile: passano l'inferno. Ma io volevo mostrare una persona [interpretata da Souheila Yacoub, ndr] che fa del suo meglio per sopravvivere in questo mondo ostile. Combatte, fa qualcosa di illegale e finisce per incontrare questi prigionieri.
(Tradotto dall'inglese)
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