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VENEZIA 2024 Orizzonti

Alexandros Avranas • Regista di Quiet Life

“A un certo punto, visto quello che sta succedendo all’ambiente, potremmo diventare tutti rifugiati”

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- VENEZIA 2024: Il regista greco ci parla della misteriosa sindrome che colpisce i bambini rifugiati e di altri argomenti trattati nel suo film

Alexandros Avranas • Regista di Quiet Life
(© Fabrizio de Gennaro/Cineuropa)

È il 2018. Quando la loro figlia finisce in coma, Sergei (Grigory Dobrygin) e Natalia (Chulpan Khamatova) sono terrorizzati: è la "sindrome dell’abbandono", che sembra colpire i bambini rifugiati. Costretti a fuggire dal loro Paese, chiedono asilo in Svezia. Vengono respinti, mentre le autorità ripetono le stesse parole: "Non parlate del passato, non menzionate l'asilo e non parlate dei vostri problemi o delle vostre ansie". Abbiamo parlato con il regista greco Alexandros Avranas del suo film, Quiet Life [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Alexandros Avranas
scheda film
]
, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti.

Cineuropa: Stava cercando nuovi modi per parlare dell'esperienza dei rifugiati?
Alexandros Avranas:
Si, e la cosa più interessante è stata questa "sindrome da abbandono infantile". In Grecia sentiamo parlare di rifugiati ogni giorno e li vediamo anche. Non ci si può stancare di questo argomento, perché non ci si può stancare degli esseri umani, ma continua ad accadere e ci si chiede cosa la società stia facendo a questi bambini. Inoltre, cosa significa veramente essere un rifugiato? A un certo punto, visto quello che sta succedendo all'ambiente, potremmo diventare tutti rifugiati.

Non ho mai sentito parlare di questa sindrome. L'avete ingigantita, si presume, facendo sembrare il tutto una satira fantascientifica.
La prima volta ho anche pensato: "Ma è vera?!" È come una Bella Addormentata di oggi. Succede ormai da decenni e in tanti Paesi diversi, anche durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la gente stava perdendo ogni speranza. Cambia forma, ma c'è. Può colpire anche i bambini che subiscono traumi a casa.

In un certo senso, è logico: il corpo va in letargo, proteggendosi. Ma si crea anche questo strano universo con regole proprie e sconosciuti perennemente sorridenti.
"Non parlare del passato, non nominare l'asilo e non parlare dei tuoi problemi o delle tue ansie". È una delle mie scene preferite perché non si sa se ridere o piangere. A volte ha senso: quando si affronta un trauma grave, le persone possono dimenticare come essere buoni genitori. Ma come si fa a dimenticare l'asilo?! Era importante non giudicare, non dire che qualcosa fosse giusto o sbagliato, ma ci sono alcune dure verità in questo film.

È un ritornello familiare: "Loro" devono "adattarsi".
Non dovremmo dimenticare tutto ciò che ci rende noi stessi. Perché poi? Ti trasformi in uno strano robot che sorride sempre? Lo vediamo spesso sui social media. Tutti sorridono, ma è falso. Non mostriamo quello che proviamo davvero, ma questo film cerca di essere onesto. Racconta questa storia in modo piuttosto diretto.

A volte, quando quello che chiamiamo "il sistema" non ti dà altra scelta, devi essere falso. Bisogna mentire. Non sono cattivi, stanno solo cercando di esistere. Si è discusso molto se questi bambini siano davvero malati o se stiano fingendo. Per molto tempo in Svezia alcuni hanno cercato di dimostrarlo. Ma è il sistema stesso a creare questa sindrome! Ti promettono il paradiso, ci costruisci tutta la tua vita, e poi all'improvviso è finita, finita. Il paradiso si trasforma di nuovo in inferno.

Lei ha parlato dei territori che sono più suscettibili a questa sindrome. Immagino che sia così che avete deciso la provenienza di questa famiglia?
La maggior parte dei casi può essere ricondotta alla Russia. Nel 2018, anno in cui è ambientato il film, lo vedevamo ancora come un Paese relativamente normale. Ma c'era già una spinta contro certe libertà e la persecuzione delle minoranze. Potevano essere russi, potevano venire dalla Siria, dall'Ucraina. Potrebbero provenire da qualsiasi Paese in cui c'è un grave conflitto. Ancora una volta, è ambientato prima della guerra, prima dell'inizio dell'invasione. E poi, chi negherebbe l'asilo agli ucraini? Sarebbe una storia completamente diversa.

È un mondo assurdo quello in cui entrano, ma non del tutto irriconoscibile. Fino a che punto voleva spingersi?
Non sono un grande fan del naturalismo - dopo tutto, vediamo la realtà ovunque. Ma non ho dovuto esagerare, perché questa malattia era già l'elemento più strano del film. Credo che si possa definire questo film minimalista, e non c'è da stupirsi: è mai stata all'Ikea? Sono stato anche influenzato da Kafka. Ogni volta che lo leggo, penso al vuoto e alla freddezza. All'inizio è stato difficile trovare l'estetica giusta, ma sembra che anche l'identità di questa famiglia venga cancellata. Si riesce a sentire una canzone nella loro lingua, perché si suppone che debbano comunque dimenticare il loro passato. Vogliono, sono disposti a iniziare una nuova vita.

(Tradotto dall'inglese)

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