Gianni Amelio • Regista di Campo di battaglia
"Non ho fatto un film di guerra ma sulla guerra"
- VENEZIA 2024: L’affermato regista italiano ci aiuta a interpretare il suo film sull’arrivo della mortale “febbre spagnola” nell'ultimo anno della Prima Guerra Mondiale,
In concorso alla Mostra di Venezia con Campo di battaglia [+leggi anche:
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intervista: Gianni Amelio
scheda film], Gianni Amelio ci aiuta a interpretare il suo film, ambientato nell'ultimo anno della Prima Guerra Mondiale in un ospedale militare italiano vicino al fronte, nel quale operano due ufficiali medici (Alessandro Borghi e Gabriel Montesi) e una infermiera comune amica (Francesca Rosellini), costretti a fare difficili scelte morali. Ma con l’arrivo della mortale “febbre spagnola” per i medici si apre un nuovo fronte.
Cineuropa: In Campo di battaglia non ci sono trincee e battaglie. Ha scelto di mostrare la guerra senza mai mostrarla?
Gianni Amelio: Le immagini di guerra sono ormai usurate, paradossalmente irreali, perché ne vediamo troppe, tutte le sere la tv manda in onda bombardamenti, feriti, morti, che siano da Gaza o dall’Ucraina. La sala cinematografica è un tempio dove si entra stando attenti a ricevere le emozioni. Credo che qui ci sia la guerra più che in un film di guerra, perché è un film sulla guerra e questo aumenta la sua forza emotiva.
Il film, ambientato nel 1818, dialoga comunque con la contemporaneità?
In qualche modo, lo sguardo che si rivolge al passato è sempre rivolto al futuro. Il film tocca dei sentimenti che vanno al di là del tempo, pensieri che abbiamo fatto tante volte e domande alle quali forse non sappiamo dare ancora una risposta. Ma un film non basta a fermare le guerre, che nascono dalla bramosia di potere. Dentro la guerra ci siamo già nella realtà di tutti i giorni, qualsiasi sia la posizione morale di ognuno su quello che accade ad esempio in Medio Oriente. Il potere ti ordina di uccidere, di massacrare povera gente. I soldati della Prima Guerra mondiale erano ragazzi di 19 e 20 anni, morivano nei corpo a corpo, e oggi è la stessa cosa. In Campo di battaglia la guerra continua nell'ospedale e smuove i sentimenti di due persone reagiscono in modo differente: uno segue il dovere, l'altro si interroga se questo dovere sia necessario o se ci sia invece una soluzione diversa possibile.
Si tratta dunque anche di scelte morali personali? Uno dei medici arriva a mutilare i soldati per evitare che tornino sul fronte a morire.
Questo film non è un apologo realistico contro la guerra ma utopistico. Tutto va in una sola direzione: le guerre fanno male, le vittime sono soprattutto innocenti, allora utopisticamente per fermarle meglio che non ci siano più braccia per imbracciare fucili. È un paradosso, certo, ma su cui si fonda la morale del film.
Nel film si ascoltano i diversi dialetti regionali parlati dai soldati che provengono da ogni parte d’Italia.
Ho avuto tre attori meravigliosi come Borghi, Montesi e Rosellini, e un gruppo sterminato di attori che dicono anche solo una battuta, ma che mi sono rimasti nel cuore. Per esempio il soldato calabrese che scrive una lettera al prete del suo paese per dire che gli ha insegnato le preghiere e invece lui vorrebbe bestemmiare. Ho voluto scavare nelle regioni italiane e ho scoperto questi interpreti meravigliosi ciascuno con la sua lingua.
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