Andres Veiel • Regista di Riefenstahl
“Non è solo una storia di vita conclusa, ma un monito per il futuro”
- VENEZIA 2024: Il regista tedesco parla degli sforzi di Leni Riefenstahl di riscrivere la propria storia e di scavarsi una fossa ancora più profonda

La carriera di Leni Riefenstahl è tanto straordinaria quanto discutibile, a causa della sua vicinanza al Terzo Reich e della sua estetica fascista. È una cosa che lei avrebbe voluto fosse dimenticata. Nel suo documentario Riefenstahl [+leggi anche:
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intervista: Andres Veiel
scheda film], proiettato fuori concorso a Venezia, il regista tedesco Andres Veiel ripercorre gli sforzi della regista per riscrivere la sua storia e i nostri ricordi di essa, scavandosi una fossa ancora più profonda.
Cineuropa: L'eredità di Leni Riefenstahl è stata resa pubblica otto anni fa. Come sempre accade con un'eredità del genere, si vuole creare una certa immagine di sé. Qual è stato il suo approccio alla dissezione di questa enorme quantità di materiale?
Andres Veiel: Poiché si trattava di un patrimonio analogico che è stato digitalizzato a partire dal 2018, mi sono stati presentati di continuo pezzi e frammenti. C'erano 50.000 foto, oltre a filmati e audio mai trasmessi. A un certo punto ho capito che dovevo fare questo film. Da un lato, volevo avvicinarmi a questo personaggio difficile ed estremamente ambivalente, ma allo stesso tempo volevo anche esaminare il presente, per mostrare che non si tratta solo di una storia di vita finita, ma di un monito per il futuro.
Un filone narrativo è il modo in cui questi Mitläufer, questi simpatizzanti, venivano spediti da un talk show all'altro. La gente si aspettava fuochi d'artificio ideologici come risultato di questi continui confronti.
Per me è sempre stato chiaro che il risultato estetico e artistico non poteva essere separato da quello ideologico. Negli Stati Uniti, la Riefenstahl è stata celebrata da Quentin Tarantino o Francis Ford Coppola come la più grande artista donna del XX secolo. Ciò che mi ha colpito fin dall'inizio è stata questa permanente e rigida negazione del legame tra estetica e politica. Il patrimono oggi ci offre molte opportunità per ristabilire questo legame. Ma per me non era importante trascinarla in tribunale e dire: “Guardate, questo è il colpevole”. Si trattava di far capire che ci sono diversi modi per lasciare il segno. Li esaminiamo più da vicino.
In alcune scene il narratore interviene per dire che non è andata così e per chiarire le cose. In altre sequenze parla solo lei e lo spettatore deve trarre le proprie conclusioni.
La domanda è sempre quella: quanto è evidente? Alcune contraddizioni vengono evidenziate immediatamente, come quando dice che il messaggio de Il trionfo della volontà è pace, pace, pace e che non c'era nulla di razzista. Poi si passa a un discorso che fa appello alla “purezza della razza”. In altri momenti, è evidente che forse era molto più coinvolta di quanto ammetta. Quanto grande deve essere il senso di colpa per mentire in quel modo?
C’è un dibattito attuale secondo cui non si può separare l'artista dall'opera d'arte. Come classificherebbe storicamente Leni Riefenstahl?
Gli indizi si trovano nel suo patrimonio. Non mi sentivo abbastanza stimolato, perché ovviamente aveva commesso degli errori o non aveva rimosso alcuni elementi che le pesavano molto. Mi sono chiesto: perché mi sta sfidando poco nella scarsa complessità della sua argomentazione e allo stesso tempo mi sta sfidando troppo? Il materiale stesso del patrimonio è una trappola? Era semplicemente “troppo stupida” per capire quanto l'avrebbe incriminata? O è solo la presunzione di chi diffonde fake news, di chi propaga queste bugie con una tale convinzione che da tempo sono diventate la sua verità? Per me il film è una profezia negativa: se non siamo vigili e non interveniamo, questo mondo si avvierà di nuovo su un sentiero oscuro.
(Tradotto dall'inglese)
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