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VENEZIA 2024 Orizzonti

Carine Tardieu • Regista di L’Attachement

“Una volta superato un certo livello di attaccamento, non si può più tornare indietro”

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- VENEZIA 2024: Carine Tardieu spiega l'intreccio del suo film sui legami familiari in senso lato e sull'effetto del passare del tempo

Carine Tardieu  • Regista di L’Attachement
(© Giorgio Zucchiatti/La Biennale di Venezia/Foto ASAC)

Presentato nel concorso Orizzonti dell'81ma Mostra del cinema di Venezia, L’Attachement [+leggi anche:
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è il quinto lungometraggio della regista francese Carine Tardieu.

Cineuropa: Perché ha deciso di adattare il romanzo L'Intimité di Alice Ferney?
Carine Tardieu
: L'ho scoperto per caso, perché mi era stato inviato dal suo editore. A una prima lettura, sono rimasta perplessa perché mi piaceva molto il punto di partenza del libro, con l'incontro tra questa bibliotecaria e quest'uomo in lutto, ma poi il romanzo prendeva una direzione completamente diversa e praticamente perdeva di vista la protagonista, Sandra, per introdurre un nuovo personaggio che mi interessava molto meno. Così ho accantonato il romanzo finché un giorno, per caso, Fanny Ardant, con cui lavoravo, è passata da casa, ha visto il libro sul mio tavolo e mi ha detto: “Credo che in questa storia ci sia un film per te”. Così ho riletto il libro, cercando di capire perché mi aveva emozionato e concentrandomi su ciò che mi era piaciuto, il personaggio di Sandra, e dimenticando in generale la seconda parte del libro.

E la struttura, con dodici capitoli che scandiscono due anni?
L'idea di dividere il film in base all'età della piccola Lucille, che si sviluppa di pari passo con la storia, mi è venuta vedendo Madres paralelas [+leggi anche:
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di Pedro Almodóvar: le sue ellissi portano avanti una storia che esplora anche i legami familiari e che mette a dura prova i rapporti tra i personaggi, cosa che mi è piaciuta molto. Inoltre, riesce a passare da un momento all'altro della storia dei personaggi, saltando altri momenti fuori luogo. Ho anche notato, da quando sono diventata madre, che il tempo passa molto più velocemente guardando i nostri figli crescere rispetto a quando non abbiamo figli: ogni evento della vita del bambino (i primi passi, i primi denti, le prime parole, ecc.) dà una sensazione di progresso e anche di irreversibilità del tempo che passa. Questa irreversibilità è indice della forza del legame tra Sandra (Valeria Bruni Tedeschi) e la famiglia. Una volta superati certi livelli di attaccamento, non si può più tornare indietro. Inoltre, dato che la nascita della bambina coincide con la morte della madre, la storia scandisce anche le fasi del lutto che il personaggio di Alex (interpretato da Pio Marmaï) deve attraversare.

Attaccamento e amore vanno necessariamente di pari passo?
Ho la sensazione che l'attaccamento sia un possibile percorso verso l'amore. Ho studiato psicologia molto tempo fa e ho pensato a John Bowlby, che ha lavorato sull'attaccamento e sui bambini piccoli. Secondo lui, la prima persona a cui un neonato si attacca, il più delle volte la madre, è soprattutto per necessità vitale. Per un istinto di sopravvivenza, si attaccano alla persona che fornisce loro le maggiori cure, li accudisce, li nutre e così via. Poi seguono l'amore e l'affetto. Ho voluto rappresentare questo aspetto nel rapporto che Sandra, Alex e il piccolo Elliot (César Botti) creano tra loro. L'attaccamento di Elliot a Sandra è fondamentale all'inizio perché si ritrova solo, con un padre poco stabile (Raphaël Quenard) e un patrigno, Alex, presente ma preso dal proprio dolore. Elliot si affeziona a Sandra, che ha tutte le carte per non essere una buona madre, perché non sembra avere il minimo interesse per i bambini. Per Elliot, affezionarsi a Sandra è anche un modo per non tradire la propria madre, quella che amava e che ora è morta. Quanto a Sandra, si lega a loro d'impulso perché intuisce che hanno bisogno di qualcosa di vitale. Il loro rapporto si costruisce quindi sulla realtà delle loro personalità, con un ragazzino che risulta particolarmente simpatico a Sandra perché ha un certo modo di fare con le persone, è divertente e insolito. Ma come dice Sandra ad Alex a un certo punto: “Sono solo quella che era lì in quel momento”. E questo non è falso, perché c'è qualcosa dell'ordine della necessità, e la necessità è legge.

Quali erano le sue principali intenzioni registiche?
Più le cose vanno avanti, più aspiro a fare film il più semplici possibile. Uno dei miei maestri è Claude Sautet, il cui cinema è molto semplice (principalmente campi-contro campi e qualche campo lungo) ma incredibilmente preciso. Per questo film ho rivisitato i suoi film, naturalmente, ma anche quelli di Noah Baumbach e altri in cui c'è un'apparente leggerezza della messa in scena. Ad esempio, in L’Attachement non ci sono travelling, tranne uno molto piccolo. Usiamo una macchina da presa a mano (ma che non si muove in tutte le direzioni) con lunghezze focali non estremamente lunghe, in modo da poter stare con gli attori. In un certo senso, volevo che anche la macchina da presa fosse legata a questa famiglia, che fosse con loro. E anche se sono una regista che controlla molto e mi impegno a rispettare il testo, visto che stavo girando con un bambino di sei anni e con dei neonati, avevo bisogno di una sorta di leggerezza nelle riprese per essere pronta ad adattarmi a loro. Poi, al montaggio, ciò che mi è apparso chiaro, e che non era stato premeditato fino a quel punto, è che il film è molto più musicale di quanto avessi immaginato.

(Tradotto dal francese)

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