Martina Parenti e Massimo D’Anolfi • Registi di Bestiari, Erbari, Lapidari
“È così difficile distribuire i documentari che la lunghezza, alla fine, non fa molta differenza”
- VENEZIA 2024: Abbiamo discusso con il duo di registi italiani che ci ha raccontato com’è nato il film, cosa si nasconde dietro il suo titolo e cosa unisce i tre atti che lo compongono

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scheda film], ultimo lungometraggio del duo di registi italiani Martina Parenti e Massimo D’Anolfi, presentato Fuori Concorso alla Mostra di Venezia, è un oggetto prezioso composto da tre intriganti atti ognuno dedicato a un mondo preciso: quello animale, quello vegetale e quello minerale.
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scheda film], presentato alla fine del 2020, in pieno Covid, ci siamo detti: proviamo a fare un film un po’ più “piccolo”, un po’ più “rapido” ambientato in città visto che gli spostamenti erano difficili. Da anni volevamo lavorare sul mondo vegetale, ma è un soggetto difficile perché le piante non parlano, non si muovono. Contemporaneamente, una nostra amica ci ha detto che nella clinica veterinaria vicino a casa nostra erano ricoverati due cuccioli di tigri e questo ci ha incuriosito. Andando a filmare lì abbiamo scoperto che il fondatore della clinica curava tutti gli animali feroci dei circhi italiani. Abbiamo quindi provato a mettere insieme queste due cose: i tigrotti e le piante. È però solo quando abbiamo incontrato le tigri che abbiamo capito che il film sarebbe stato un bestiario e un erbario. Siccome la tradizione medievale vuole che ci siano anche i lapidari abbiamo quindi deciso, in modo più razionale, di aggiungerli in quanto terzo atto del film. La pietra rappresentata è una pietra della memoria, metaforica. Così come negli erbari si piantano semi, i lapidari piantano ricordi di milioni di vite.
Tornando ai titoli dei tre capitoli, questi ci riportano subito alla tradizione medievale anche se le spiegazioni moralizzanti che li caratterizzavano sono ovviamente assenti nel film.
Il titolo è un’ispirazione. Spesso, per i nostri film abbiamo rubato i titoli alla letteratura o alle scienze prendendoci poi tanta libertà. Ovviamente in questo caso ci scostiamo dalla tradizione medievale ma l’idea del catalogo, dell’enciclopedia è rimasta. Quello che ci interessava in particolare è come il cinema ha filmato gli animali. Non è certo un caso se la prima immagine filmata nel precinema è quella di un animale. A partire da quest’idea, da questo suggerimento abbiamo cominciato un viaggio all’interno degli archivi cinematografici europei per cercare di ricostruire la relazione, l’infatuazione fra uomo e animale. In questo viaggio siamo stati guidati anche dalla ricerca fatta per noi da Francesco Pitassio e Sophia Gräfe che è la maggiore esperta di Günter Tembrock. La collaborazione con le cineteche europee, l’accesso ai loro archivi è stato fondamentale, ci hanno ispirati e hanno portato il film nella direzione verso la quale doveva andare.
La durata del film non vi ha spaventato e in che cosa questa dilatazione del tempo era per voi importante?
È così difficile distribuire i documentari che la lunghezza, alla fine, non fa molta differenza e allora tanto vale lavorare nel modo che si vuole, in completa libertà e indipendenza. Non è stata una scelta programmatica ma quando abbiamo scritto il film sapevamo che trattando tre soggetti così complessi ci saremmo facilmente avvicinati alle tre ore. Allo stesso tempo e considerandone la durata bisognava fare in modo che il film reggesse. Di fatto, Erbari è stato il primo atto che abbiamo montato, il secondo è stato Bestiari ed entrambi durano circa settanta minuti. Sin dall’inizio, Lapidari è stato pensato e voluto più corto. Negli anni abbiamo capito che quando ci si dirige verso il finale bisogna in qualche modo accorciare i tempi, stringere. Abbiamo immaginato molte cose, di proporre il film in tre festival diversi, addirittura di proporlo allo stesso festival ma facendolo vedere in giorni diversi. Però abbiamo capito che sarebbe stato più interessante tenerli insieme facendo un intervallo dopo ogni atto. Queste pause danno un respiro alla fine di ogni atto e ti permettono di accogliere con maggiore serenità il successivo. invece di allontanare i tre atti queste pause ne amplificano l’effetto d’unione. Comunque, Bestiari, Erbari, Lapidari è un film che ha uno sviluppo drammatico unico e ha senso che venga visto tutto insieme, è insieme che i tre atti sprigionano la loro bellezza. I nostri film raccontano sempre di viaggi e anche un po’ di quello che abbiamo fatto noi per realizzarlo. Il tempo è un alleato, ogni volta ci promettiamo di provare a fare un film corto ma non ci siamo ancora riusciti.
Ho l’impressione che la musica serva anche da legante, che crei un’atmosfera d’insieme molto speciale.
Il nostro musicista è sempre Massimo Mariani. Normalmente partiamo dalle musiche d’archivio dei nostri film precedenti, anche dagli scarti. Abbiamo anche delle referenze che ci ispirano. Poi con Massimo Mariani affiniamo la musica già in fase di montaggio. L’ispirazione per il film è stata quella del carillon, della super semplificazione, di questi suoni lunghissimi. A volte abbiamo rallentato le musiche ricevute anche del 300%. Il risultato sono suoni che durano anche due minuti. La musica doveva essere un elemento unificante ma abbiamo lavorato con tre musiche diverse, c’è soltanto una musica che in qualche modo ritorna, che travalica il resto. Per il film, Massimo Mariani ha lavorato tantissimo con i suoni degli animali, delle balene, dei narvali.
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