Léa Todorov • Regista di Maria Montessori
“Nella vita di Maria non c’è snodo più drammatico di questa separazione da suo figlio"
- La regista francese ci parla del suo primo film di finzione, che ritrae la leggendaria pedagogista italiana nei primi anni della sua carriera, agli albori del suo famoso metodo
La vita professionale della leggendaria pedagogista, ma anche la sua sofferta vita privata, sono al centro del primo lungometraggio di finzione della francese Léa Todorov, Maria Montessori [+leggi anche:
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intervista: Léa Todorov
scheda film], in uscita nelle sale italiane con Wanted Cinema il 26 settembre. Ne abbiamo parlato con la regista alla presentazione del film a Villa Medici, a Roma.
Cineuropa: Nel 2016 aveva già partecipato alla scrittura di un documentario, Révolution école: l'éducation nouvelle entre les deux guerres, sui metodi di insegnamento alternativi. È un tema che le interessa in particolar modo?
Léa Todorov: In realtà, è un argomento che ho scoperto lavorando a quel documentario, che è stato realizzato su commissione. Ho trovato appassionanti le questioni relative all'educazione perché riuniscono così tante aree di pensiero: la politica, il pensiero scientifico, la psicologia. Durante la lavorazione del documentario ho scoperto la figura di Maria Montessori e il ruolo che ha avuto tra le due guerre nell’ambito della nuova educazione. Ho cominciato a leggere quello che Montessori ha scritto, ho letto diverse biografie su di lei e ho anche scoperto tutto quello che aveva passato prima di diventare una diva. Sono rimasta sorpresa dalla distanza tra la figura iconica e la donna che andavo scoprendo, e l’ho trovata più interessante perché più umana. Mi è sembrato importante vedere come Montessori avesse lottato contro il pensiero dell’epoca. Poi però ho dovuto aspettare il 2017 e la nascita di mia figlia, che è nata con una malattia genetica, perché fare questo film diventasse una necessità personale.
È forse questa necessità personale che l’ha portata a concentrarsi sulla prima parte della carriera di Montessori, quando si prende cura di bambini con disabilità? E come mai ha scelto di mettere in luce proprio il momento in cui Maria abbandona suo figlio, nato fuori dal matrimonio?
Ho molto riflettuto su quale periodo scegliere della vita di Montessori, ma tornavo sempre all’idea che l’abbandono di questo bambino fosse il punto essenziale per capire chi è diventata in seguito. Tutto questo aveva anche un’eco sulla storia della mia famiglia e la storia di tante donne che si sono trovate costrette a scegliere tra vita personale e vita professionale. Nella vita di Maria non c’è snodo più drammatico di questa separazione da suo figlio mentre si occupa dell’educazione di tutti i bambini, è una contraddizione nella figura di questa donna. Ma in effetti, se non avesse rinunciato al figlio, oggi non avremmo il metodo Montessori.
Lei accennava ai testi che ha letto per documentarsi. Il personaggio di Lili, questa donna che da Parigi parte per affidare sua figlia alle cure di Montessori, ha un riscontro nella realtà?
Il personaggio di Lili è vagamente ispirato a una studentessa austriaca di cui parla Montessori nei suoi scritti, ma in realtà il personaggio è stato completamente stravolto, ha solo conservato il nome di battesimo. La Lili d’Alengy del mio film è un personaggio di finzione ispirato a personaggi reali di cocotte parigine, che erano figure molto conosciute e importanti ai loro tempi. Quando ho iniziato a cercare un’altra figura femminile come contrappunto drammatico, dovevo fare in modo che non fosse più debole di Maria, quindi questo personaggio di cocotte mi è apparso come una controfigura femminile dell’epoca: è una persona che ha un suo potere, quello della seduzione che esercita sugli uomini, e ho capito che poteva avere una funzione in quel mondo, trasmettere qualcosa a Maria. Inoltre, questa madre che si vergogna di sua figlia è un po’ il simbolo della nostra società che non accetta la diversità.
Quelli che vediamo nel film sono veri bambini con problemi motori o cognitivi. Come si è svolto il casting e come ha lavorato con loro per riuscire a ritrarli in modo così luminoso?
Abbiamo visto tantissimi bambini e in quei 20 minuti che durava il provino cercavamo di capire se era possibile interagire con loro e vivere momenti di gioia insieme. Con i bambini con cui questo ha funzionato abbiamo poi fatto uno stage basato su danza, musica e teatro. Abbiamo cercato di abituarli alla presenza della macchina da presa, alle prove e alla ripetizione delle scene. Hanno lavorato come veri e propri attori, e tutto questo si è trasformato in una specie di gioco anche per noi. Credo che il film renda conto solo in minima parte di tutta la gioia e l’emozione che nascono quando ci si rende conto che con questi bambini giudicati “incapaci” tutto è invece possibile, basta credere in loro. Quanto al nostro sguardo, abbiamo cercato di adottare il messaggio di Montessori. È importante che lo spettatore veda il film e si chieda come abbiamo fatto: la risposta è che lo abbiamo fatto con amore.
Il suo è un film in costume che mostra una notevole ricercatezza pittorica e musicale. Quali sono stati i suoi riferimenti?
Esordire nella fiction con un film in costume del 1900 è stato come realizzare un sogno d’infanzia. Ho visto molti film storici, ho visitato tanti musei e quindi i riferimenti pittorici erano molto vivi in me. Ho passato l’estate in Italia e ho visto varie mostre e quadri di fine ‘800, ho scattato molte foto a cui potermi ispirare per i costumi e l’immagine: per esempio, la luce utilizzata all’interno della fattoria dove sta il figlio di Maria sono ispirate alla pittura olandese del XVII secolo. Alla festa di Betsy, i quadri che sono appesi sono della prima pittrice astratta della storia, completamente dimenticata, Hilma af Klimt. Le musiche sono composte da Mélanie Bonis, una musicista dell’epoca che aveva vissuto esperienze personali analoghe, poiché era stata costretta ad abbandonare il suo bambino: un’altra artista che meriterebbe di essere riportata in luce.
Per diventare qualcuno, una donna deve rinunciare alla maternità?
Con la maternità, ogni donna sperimenta l’ineguaglianza nella nostra società patriarcale. In Francia sono migliaia le donne che smettono di lavorare, dovendo rinunciare a propria indipendenza economica, mentre i mariti proseguono le loro carriere. Per non parlare del numero enorme di donne che vengono uccise: ne muore una ogni due giorni per via della violenza dei loro compagni. Maria dice: “Non voglio diventare la proprietà di nessuno”. È una frase perfettamente valida ancora oggi, non solo rispetto all’autonomia finanziaria, ma anche al fatto di non voler appartenere ad altri se non a se stesse.