Antonella Sudasassi Furniss • Regista di Memorias de un cuerpo que arde
“Mi piacerebbe che il film invitasse a rivisitare il nostro lignaggio femminile”
- La regista costaricana parla del suo secondo lungometraggio, in cui scava nell'intimità e nella sessualità di donne che sono state oppresse per tutta la vita

La regista costaricana Antonella Sudasassi Furniss, che si è fatta conoscere con il suo primo lungometraggio El despertar de las hormigas [+leggi anche:
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scheda film], presentato nella sezione Forum della Berlinale, ha deciso di esplorare l'intimità e la sessualità di donne di mezza età che sono state oppresse per tutta la vita, attraverso le parole e gli sguardi di Ana (68 anni), Patricia (69) e Mayela (71). Il risultato, Memorias de un cuerpo que arde [+leggi anche:
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intervista: Antonella Sudasassi Furniss
scheda film], è stato presentato in anteprima mondiale nella sezione Panorama della Berlinale di quest'anno, dove ha vinto il premio del pubblico, ed è ora nel bel mezzo del suo tour di festival, dove ha vinto un altro premio del pubblico, nella sezione Flash Forward del Busan International Film Festival. Il film è anche il rappresentante della Costa Rica nella corsa agli Oscar e ai Premi Goya spagnoli. Abbiamo parlato con la regista del film, dei suoi obiettivi e dei suoi successi.
Cineuropa: Il suo film tocca temi molto personali ed emotivi. Quali sono state le maggiori sfide nel portare sullo schermo i suoi ricordi e come ha fatto a mantenere un equilibrio tra l'obiettività e la sua prospettiva personale?
Antonella Sudasassi Furniss: Il film si basa sulle storie di donne reali. Il film racconta una sorta di storia collettiva, una miriade di ricordi e memorie che si intrecciano senza rappresentare nessuna donna in particolare, ma allo stesso tempo riflette la vita di molte. Dal momento in cui mi siedo a parlare con loro, interviene la mia soggettività, è impossibile che io non esista nel film. Sono io ad ascoltare, a determinare cosa includere nel film. Anche se quello che sentiamo sono le loro vere voci, tutto, assolutamente tutto, è permeato dal mio sguardo. Qualsiasi atto che cerchi di raccontare la storia di qualcun altro passa inesorabilmente attraverso la nostra soggettività. Forse la cosa più complessa per me è stata trovare l'equilibrio, fare in modo che il film avesse la capacità di generare empatia, di farci ridere, di commuoverci, ma anche di permetterci di confrontarci con il passato e persino con il presente, che sono ancora violenti.
Cosa spera che il pubblico possa trarre dal suo lavoro e come vorrebbe che si connettesse con spettatori di culture diverse?
Mi piacerebbe che il film continuasse a generare un dialogo, che ci invitasse in qualche modo a scavare nella nostra storia familiare, a rivisitare il nostro lignaggio femminile. Il dialogo che possiamo avere con i nostri anziani, quella preziosa conoscenza orale che solitamente trascuriamo, ha una capacità infinita di ricordarci da dove veniamo. Questo film cerca in molti modi di ricordare per non dimenticare.
Cosa ha significato per lei vincere questo premio in un festival così prestigioso come quello di Busan e come pensa che influirà sulla sua carriera futura?
Mi emoziona molto l'idea che un film della Costa Rica possa avere una risonanza con il pubblico della Corea del Sud. Credo che non ci sia riconoscimento più bello di quello del pubblico. Tutta la squadra è molto grata per questo riconoscimento. È molto forte anche il fatto che il pubblico di tante parti diverse entri in connessione con il film in questo modo. Ciò significa che il passato di molte delle nostre madri e nonne si incontra e si riflette nelle storie sullo schermo. L'esperienza di vita della donna si ripete nel bello, nell'incerto, ma anche in ciò che pensiamo sia già passato, ma che purtroppo continua ad affiorare. A me personalmente lascia molto da pensare.
(Tradotto dallo spagnolo)
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