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Croazia / Serbia

Vanja Juranić • Regista di Only When I Laugh

“Dobbiamo smettere di dire alle donne come sopravvivere ai predatori e dire invece ai predatori di non essere tali”

di 

- Abbiamo parlato con la regista croata del suo secondo film, del patriarcato dilagante nella famiglia e nella cultura e delle gabbie dorate

Vanja Juranić • Regista di Only When I Laugh

La ribellione di una donna contro il patriarcato dilagante nella sua famiglia e, quindi, nella sua cultura è al centro di Only When I Laugh [+leggi anche:
recensione
intervista: Vanja Juranić
scheda film
]
della regista croata Vanja Juranić, con cui abbiamo parlato in occasione della sua partecipazione in concorso al 7mo Euro Balkan Film Festival, a Roma dal 6 al 12 novembre. 

Cineuropa: Lei è un regista e anche un’attivista nella lotta contro la violenza sulle donne. Il fatto vero su cui si basa il suo film risale a circa 20 anni fa. È cambiato qualcosa da allora nella cultura croata? Il patriarcato è ancora così radicato?
Vanja Juranić: Grazie a decenni di sforzi da parte di individui e ONG impegnati nei diritti delle donne e nella lotta per l'uguaglianza di genere, ci sono stati cambiamenti positivi nella cultura croata. Tra i risultati recenti più significativi c'è l'inclusione del femminicidio nel codice penale. Tuttavia, le sopravvissute devono ancora spesso affrontare lo stigma, l'inadeguato supporto istituzionale o la ri-traumatizzazione quando cercano giustizia. Un fattore chiave nel cambiamento delle narrazioni tradizionali è la crescente apertura a discutere di argomenti che un tempo erano considerati tabù. I social network hanno svolto un ruolo cruciale nel rompere gli stigmi e nel promuovere conversazioni difficili, in particolare sulla violenza contro le donne.

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Lo stile del film oscilla tra il documentario, con l'uso della camera a mano, e il thriller, con incubi, flash forward... Cosa l'ha guidata nella scelta del genere per raccontare questa storia?
Volevo creare un senso di cruda autenticità e realismo. Lavoro anche nel campo del documentario, quindi forse è da qui che nasce l'esigenza che il film di finzione sia il più vicino possibile alla realtà. Volevo utilizzare elementi thriller per coinvolgere gli spettatori e catturare visivamente le lotte psicologiche ed emotive di Tina, la protagonista, e la sua paura più profonda, quella di perdere la figlia.

La maggior parte del film è girata in casa, molte scene si svolgono in cucina. Era sua intenzione trasmettere un senso di claustrofobia, come se la protagonista vivesse in una gabbia?
Il nostro obiettivo principale era mostrare come il patriarcato privato sia il più difficile da cambiare, e la cucina, in quanto immagine evocativa della sfera domestica, è stata una scelta organica. È anche un luogo in cui spesso vengono imposti dei ruoli, soprattutto alle donne, che a volte può sembrare una gabbia, nel caso di Tina una gabbia dorata.

Il personaggio del marito è ambiguo: sembra collaborativo, ma poi boicotta segretamente la moglie. Non sembra cattivo di per sé, ma una vittima a sua volta del patriarcato.
Il marito è un prodotto dell'ambiente che lo ha plasmato, un sistema che non solo schiaccia le donne ma intrappola anche gli uomini in ruoli e aspettative restrittive. Sì, anche lui è una vittima, ma non ne è consapevole. In fondo, sa che dovrebbe sostenere la moglie nel perseguire il suo sogno, ma la mentalità patriarcale e maschilista è molto più forte e profonda dentro di lui. Volevamo mostrare entrambi i lati di lui: quello della vittima e quello dell'abusante.

Ciò che colpisce è come le donne che ruotano intorno alla protagonista (le sue amiche, la suocera, la madre...) abbiano introiettato la cultura patriarcale e siano totalmente rassegnate ad essa. Anche la giovane figlia è su questa strada.
Ho sperimentato spesso norme patriarcali interiorizzate e misoginia da parte di altre donne, e questo fa ancora più male di quando viene dagli uomini. Durante la preparazione del film, alcune donne mi hanno detto di non farlo, hanno persino cercato di spaventarmi dicendo che ci sarebbero state gravi conseguenze. All'inizio ho persino pensato di girare il film con un altro nome. Questo comportamento è un esempio da manuale dell'ignoranza che perpetua la nostra mentalità patriarcale. I bambini spesso imitano ciò che vedono intorno a loro e assorbono tutto come spugne. Non è che ci manchi la conoscenza, quello che manca è il coraggio di capire ciò che sappiamo, di trarre conclusioni e di cambiare noi stesse. Alcuni non capiscono che il patriarcato non risparmia nessuno.

All’Euro Balkan FF di Roma partecipa a una conferenza sul tema dell'essere donna nell'industria cinematografica: com'è la situazione nel suo Paese?
In Croazia abbiamo il Centro audiovisivo, che fornisce un generoso sostegno alle registe e alle produttrici. A un certo punto, questo è diventato addirittura un obiettivo principale per loro, e non mi sorprenderebbe se ora in Croazia ci fossero più produttrici donne che uomini. Recentemente, un regista affermato è stato denunciato per aver abusato della sua posizione e per aver commesso molestie sessuali. Quando una delle vittime ha parlato, è stato prontamente rimosso da tutti i progetti attuali e futuri, senza alcun dubbio sulla credibilità della vittima. Questa risposta dimostra come i registi croati si siano uniti con tolleranza zero per le sue azioni. Sebbene questo tipo di comportamento possa essere riscontrato in qualsiasi Paese, è fondamentale affrontarlo apertamente. Dobbiamo smettere di dire alle donne come sopravvivere ai predatori e dire invece ai predatori di non essere tali.

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(Tradotto dall'inglese)

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