Jurijs Saule • Regista di Martin Reads the Quran
“Questo dialogo tra due persone che non vogliono parlarsi, ma che riescono comunque a farlo, è importante per me”
- Abbiamo incontrato il regista tedesco per parlare del suo film, che vede un professore di studi islamici e un potenziale attentatore sfidarsi in un duello verbale

Martin si reca da un professore di studi islamici per parlargli di un attentato che ha pianificato. Può il professore mostrare a Martin un passo del Corano che dice che è sbagliato uccidere le persone con le bombe? È questa la domanda al centro di Martin Reads the Quran [+leggi anche:
recensione
intervista: Jurijs Saule
scheda film], l'opera prima del regista tedesco Jurijs Saule, presentata in concorso al 25mo Festival del cinema europeo di Lecce, dove lo abbiamo incontrato.
Cineuropa: Perché, da ebreo, ha scelto di approfondire il tema dell'Islam nel suo primo lungometraggio?
Jurijs Saule: Volevo fare un film importante per la società. L'idea è venuta al mio collega Michail Lurje nel 2016, in seguito ho parlato con lui e abbiamo lavorato insieme alla sceneggiatura. Abbiamo pensato che fosse necessario parlarne perché molte persone e programmi televisivi stavano discutendo se il Corano è buono o cattivo, il che significa se i musulmani sono buoni o cattivi. È una discussione terribile ma, dal punto di vista di un artista, è anche divertente discutere se un libro religioso sia buono o cattivo. Tutti conoscono la religione musulmana o cristiana, ma una cosa è conoscerla e l'altra è sentirla. Per questo ho voluto fare un film per far sentire al pubblico cristiano quello che ho sentito io. Perché anche io, come ebreo, ho avuto dei dubbi, ma in realtà è la stessa cosa di tutte le altre religioni. Per questo ho inserito nel film molti simboli e musiche cristiane.
Che tipo di ricerca ha fatto per il film? Ha studiato il Corano?
Ho studiato alcune pagine. Ma la maggior parte della ricerca è stata fatta da Michail, ha parlato con alcuni scienziati islamici. Per me la cosa più importante era la domanda: credo in Dio? E quanto credo in Dio? Per fare questo tipo di film bisogna credere in Dio e mostrare rispetto. Ho iniziato a credere di più quando mi sono messo in discussione. Non sono una persona religiosa ma credo in Dio, quindi è stata più una ricerca su me stesso, su quanto posso rispettare questa religione.
Come definirebbe il personaggio di Martin?
È un lavoratore del settore telefonico e un padre di famiglia. Martin cerca di perdonare i musulmani e Dio. Per lui è colpa loro, colpa della religione, ma alla fine sente Dio attraverso sua figlia e perdona tutti. Il film parla di perdono anche se Martin fa tutto il contrario.
Nel film lei usa la macchina da presa in modo molto dinamico. Qual era l'idea di base?
Abbiamo due personaggi con punti di vista diversi che mostrano le loro argomentazioni ogni secondo, quindi non c'è un momento di silenzio in cui la macchina da presa possa mostrare la psicologia del personaggio. Non volevo mostrare la storia di Martin, ma volevo mostrare la figlia, ecco perché questo concept era necessario: mostrare i sentimenti psicologici del personaggio e il suo passato attraverso la telecamera. Volevo mostrare come si sarebbe comportata la figlia se fosse stata qui ad ascoltare questa conversazione. A volte sarebbe stata molto interessata, a volte si sarebbe avvicinata troppo al professore per dimostrargli che forse si sbaglia, lo avrebbe infastidito. Ecco perché a volte vediamo che il professore deve respingerla, perché è come il dito nella piaga, è doloroso.
Cosa ci dice della scelta e del lavoro con gli attori principali?
Nella prima versione della sceneggiatura il professore era musulmano, ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato interessante per il pubblico europeo che fosse un volto europeo/tedesco, ed era ovvio che dovesse essere un attore famoso. Ulrich Tukur è molto conosciuto ed era molto adatto al ruolo. Trovare Martin è stato più difficile, ho dovuto guardare migliaia di foto e showreel, e Zejhun Demirov è stato il migliore. Abbiamo lavorato insieme per due mesi, abbiamo parlato della famiglia, di Dio, della politica e naturalmente del suo ruolo. Gli ho mostrato diversi pezzi di altri film. Poi abbiamo fatto molte prove, tutti e tre, per due settimane all'università.
Quali sono stati i suoi principali riferimenti per questo film?
Ho pensato all'atmosfera di Interview di Theo van Gogh, del 2003: è incredibile quanto sia emozionante solo grazie ai dialoghi. Anche un film russo del 1983 del mio regista preferito, Marlen Chuciev, Epilogo, che mostra due personaggi in un appartamento, un padre e suo genero. Solo due uomini che parlano ed è qui che si sente davvero il cuore del regista.
Cosa vorrebbe che il pubblico conservasse dopo la visione del film?
Due culture possono capirsi. Questa guerra tra musulmani ed ebrei, anche prima del 7 ottobre, ovviamente l'avevo in mente e anche la guerra in Ucraina. È stato molto emozionante per me mentre scrivevo la sceneggiatura, questo dialogo tra due persone che non vogliono parlarsi ma che riescono comunque a farlo. Questo è importante per me e questo è il mio messaggio alla gente: si può ancora parlare.
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