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ITALIA Francia

Joe Wright • Regista di M – Il figlio del secolo

“L’empatia è molto pericolosa, i leader dispotici ne erano consapevoli”

di 

- Un'intervista con il regista della serie, un ritratto inedito di Benito Mussolini, che si rispecchia in alcuni leader odierni

Joe Wright • Regista di M – Il figlio del secolo

La miniserie Sky Original M – Il figlio del secolo [+leggi anche:
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, presentata fuori concorso alla Mostra di Venezia, sarà trasmessa sul canale Sky Atlantic dal 10 gennaio 2025. Coprodotta da Sky Studios con The Apartment Pictures e Pathé, la serie è tratta dall’omonimo libro di Antonio Scurati. La storia offre in 8 episodi un ritratto inedito e graffiante di Benito Mussolini (interpretato da Luca Marinelli) raccontando la sua ascesa politica, dalla fondazione dei Fasci di Combattimento fino all’imposizione della più feroce dittatura che l’Italia abbia conosciuto. Un Mussolini istrionico, dai toni moderni, che parla direttamente allo spettatore, mostrando come il fascismo si sia radicato nella cultura italiana, come viene sottolineato nel prologo della serie: “Guardatevi intorno, siamo ancora tra voi”. Ne abbiamo parlato con il regista della serie, il londinese Joe Wright, che ha vinto un premio BAFTA come miglior regista esordiente per Orgoglio e pregiudizio [+leggi anche:
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nel 2005 ed è stato il più giovane regista ad aver aperto la Mostra di Venezia con Espiazione [+leggi anche:
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nel 2007, firmando successivamente film di successo come Anna Karenina [+leggi anche:
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, L’ora più buia
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(due premi Oscar, al protagonista Gary Oldman e al trucco), e Cyrano [+leggi anche:
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CinecittàNews: Per questa serie lei ha adottato un linguaggio teatrale, un registro brechtiano, come lei l’ha definito, che porta il pubblico a empatizzare per poi giudicare il protagonista.
Joe Wright: Ho diretto Brecht a teatro a Londra. Mi sembrava la tecnica giusta perché Mussolini era incredibilmente seducente. Avevamo bisogno che Mussolini seducesse il pubblico, in modo da capire come avesse sedotto l’Italia e, di fatto, anche molti leader mondiali. Churchill era un grande fan di Mussolini. Quindi quell’aspetto è stato molto importante, ma avevamo anche bisogno di creare una certa distanza critica. Così abbiamo fatto in modo da costruire un senso di empatia, e credo che a volte empatizziamo con lui, ma poi togliamo il tappeto da sotto i piedi del pubblico e chiediamo di applicare una certa distanza critica e di pensare al loro rapporto con i propri sentimenti, e con l’uomo con cui in quel momento hanno empatizzato e riso. Credo che questo sia molto importante. Credo che Brecht abbia capito che l’empatia è in effetti molto pericolosa perché non è selettiva. Provo empatia per un cucciolo di cane in una pubblicità di rotoli di carta igienica così come per le persone che si trovano in una situazione terribile a Gaza. Provo quell’empatia a prescindere, e credo che questo sia molto pericoloso. E credo che Hitler ne fosse consapevole, penso che Mussolini ne fosse consapevole. Penso che molti di questi leader dispotici ne fosse consapevoli e usassero l’empatia per il proprio tornaconto.

Nel prologo della serie si dice: “Guardatevi attorno, siamo ancora tra voi”. C’è un ritorno a quell’estremismo oggi? 
Mussolini ha operato attraverso l’invenzione del populismo di estrema destra che ruotava intorno a tutte quelle legittime preoccupazioni che la gente prova nei periodi meno sereni e difficili della storia. In quei momenti emergono figure che tendono a sfruttare queste preoccupazioni e le persone pensano che siano perfetti per risolverle.

Il protagonista infrange la quarta parete per rivolgersi direttamente al pubblico. Perché questa scelta?
Sembra che stia parlando con la Storia ma alla fine è un dialogare con la sua mente, quasi a confrontarsi, perché Mussolini è stato un uomo che raramente ha detto ciò che pensava, i pensieri che attraversavano la sua mente controllavano anche la sua narrazione. Era un ingannatore, lo ha fatto con tutti, la sua famiglia, la nazione, se stesso. Il rivolgersi in camera è come mostrare i suoi pensieri, era il suo essere vincente, piano piano però vediamo che perde anche quello fino al suo epilogo. 

Ha ricostruito gran parte del film e le sue ambientazioni a Cinecittà, che esperienza è stata?
Cinecittà è davvero la casa degli dei per me. Ho avuto una storia d’amore di 25 anni con l’Italia e con il cinema italiano. Venero gli dei del cinema italiano, in un certo senso, religiosamente. Quindi essere lì a camminare in mezzo a loro, a sentire i loro fantasmi e i loro spiriti, è stato incredibilmente potente per me. È stata un’occasione d’oro, non solo per il passato, ma anche per i grandi artisti e tecnici e artigiani che vi lavorano oggi. Il team di ripresa, il reparto artistico, il reparto costumi di Massimo Cantini Parrini, sono davvero dei veri artisti. E per me è stato come tornare a casa. È stato una specie di paradiso.

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