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Italia

Edgardo Pistone • Regista di Ciao bambino

“Gli adulti sono i primi nemici della libertà perché non permettono agli adolescenti di vivere la loro spensieratezza”

di 

- Parliamo con il regista napoletano di eredità sbagliate, di amori impossibili e di non luoghi in occasione dell'uscita del suo film nelle sale italiane

Edgardo Pistone • Regista di Ciao bambino

Presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma, dove si è aggiudicato il Premio Miglior opera prima, e successivamente vincitore del Premio Speciale della Giuria nel Concorso opere prime al Festival Black Nights di Tallinn, Ciao bambino [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Edgardo Pistone
scheda film
]
, primo lungometraggio del 35enne regista napoletano Edgardo Pistone, esce nelle sale italiane il 23 gennaio con Filmclub Distribuzione. Pistone, già premiato per la Miglior regia alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 77 per il suo corto Le mosche, ci parla del suo dramma con protagonista un adolescente che, costretto a ripagare i debiti di suo padre appena uscito di galera, si innamora della giovane prostituta che si ritrova a proteggere.

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Cineuropa: “Gli adulti commettono l’errore di considerare i ragazzi esseri liberi, ma loro sono i più grandi nemici della libertà”. Il suo film si apre, e non solo, con questa frase.
Edgardo Pistone:
Il film parla della difficoltà di ogni essere umano nel relazionarsi con la propria eredità, che è un qualcosa che riceviamo da coloro che ci hanno preceduto. Gli adulti sono i primi nemici della libertà perché non permettono agli adolescenti di vivere la loro spensieratezza, essenzialmente per due motivi: il primo è che i ragazzi ereditano un mondo sempre peggiore, e il secondo è che gli adulti attuano una sorta di vampirismo nei loro confronti.

La storia che racconta nel film ha elementi autobiografici?
Il film è autobiografico nella relazione che il protagonista ha con il contesto, ma molti elementi sono stati riscritti: io non ho mai veramente sorvegliato una giovane prostituta, però è capitato diverse volte che qualcuno mi chiedesse di lavorare per lui, cosa che ho sempre evitato. Il film si discosta in questo: Attilio fa una scelta meno ponderata della mia. Il film è autobiografico soprattutto nella relazione con mio padre, con il gruppo di ragazzi che è composto sulle memorie che avevo degli amici del quartiere, e poi nel rapporto con la libertà femminile. Abbiamo ereditato un codice culturale e comportamentale in cui la donna deve stare in secondo piano, e io l’ho sempre rifiutato. Anche Attilio lo rifiuta, per questo viene condannato dai suoi amici e dal contesto culturale in cui vive.

È proprio suo padre, Luciano Pistone, a interpretare il ruolo del padre nel film.
Avevo quest’idea di raccontare la nostra storia convinto che fosse una forma di terapia. Nel raccontare la mia relazione con lui ho deciso di coinvolgerlo perché ho pensato che sarebbe stato un racconto a metà se lo avessi fatto da solo. Per il resto, il cast l’ho trovato per strada. Solo Pasquale Esposito, che nel film interpreta Vittorio, è un attore. Il casting è stato un lavoro lungo ma divertente, perché è anche curioso scoprire il talento nascosto, la bellezza inespressa negli esseri umani comuni. Per me il cinema è questo.

Che caratteristiche cercava per i personaggi di Attilio e Anastasia?
Nei due attori protagonisti cercavo la tenerezza e la fragilità, due elementi che dovevano andare un po’ a contrasto con questo mondo vuoto, brutto e sporco. Una cosa che mi piace di come loro due stanno in scena è questa sensazione di essere sempre fuori luogo. Ho cercato di preservare la loro fragilità sul set, che di solito è un luogo frenetico, caotico, anche cinico.

Il film è girato al rione Traiano di Napoli, dove lei è cresciuto e tuttora vive. Lo slargo dove Anastasia riceve i suoi clienti sembra un luogo quasi metafisico. Che idea c’era alla base?
L’idea era soprattutto emotiva, ossia che tra gli individui e gli altri ci fosse una distanza abissale, che è un po’ una metafora di ciò che succede a Napoli. Quando a Napoli muore un ragazzino ucciso a 16 anni, l’opinione pubblica si dimentica che siamo in Italia: finché succede a Napoli, te lo aspetti. Il rione Traiano restituisce il sentimento di non luogo. Ci sta questo elemento di desolazione e solitudine che si discosta molto dalla rappresentazione di una Napoli caotica, feroce, densa. Il mio quartiere è un luogo dormitorio dove ci stanno questi slarghi e questi palazzi, pervaso da un sentimento di isolamento e di abbandono. Tutto quello che vorresti avere è sempre molto lontano, ogni sorta di relazione appare lontana.

Perché la scelta del bianco e nero?
Non mi interessava fare un racconto generazionale, volevo raccontare l’adolescenza come stagione della vita. Il bianco e nero poteva dare un tocco di eternità e classicità al racconto. Mi ha aiutato anche a isolare l’attualità e il quotidiano, per far sì che fosse una storia universale. Il cinema ha il ruolo di cercare la bellezza laddove a un primo sguardo non c’è: il bianco e nero, insieme alla cura dell’inquadratura e della fotografia, mi ha aiutato in questo slancio.

Il film è in effetti molto raffinato quanto a composizione dell’inquadratura, movimenti di macchina, zoomate… Anche la scelta delle musiche è molto accurata. Quali sono i suoi riferimenti?
Uno su tutti è Martin Scorsese, nei suoi film c’è sempre questa relazione tra individui che provano a sostituirsi a Dio e falliscono miseramente, c’è il discorso legato alla redenzione, al cattolicesimo – mi riferisco soprattutto al suo primo film, Chi sta bussando alla mia porta. C’è poi tanto cinema italiano degli anni ‘60 e ‘70, c’è il regista napoletano Antonio Capuano e anche Emir Kusturica, in particolare il suo Ti ricordi di Dolly Bell?. Riguardo alle musiche, volevo che la colonna sonora rispecchiasse le due anime del film: da una parte classica, reazionaria, raffinata, e dall’altra popolare, essendo un romanzo di formazione ambientato in un rione popolare, che a tratti sfiora il melò.

Quanto ai suoi prossimi progetti, tornerà a girare a Napoli?
Sto lavorando a un nuovo film, che è l’adattamento di uno dei miei scrittori preferiti, ma è ancora presto per parlarne. Posso solo dire che le storie che mi piacciono sono sempre quelle di amori impossibili, storie di persone in condizioni disperate che provano a redimersi dalla loro condizione attraverso l’amore.

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