Nicola Bellucci • Regista di Quir
"Quir mette in scena tutta una sfumatura di corpi, perché il corpo è un oggetto politico"
- Il regista ci spiega cosa ha significato per lui incontrare una comunità che ha scelto di trasformare il dolore in gioia e in che modo filmare i corpi possa trasformarsi in atto politico

Vincitore del Premio del pubblico alle Giornate di Soletta, Quir [+leggi anche:
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intervista: Nicola Bellucci
scheda film] di Nicola Bellucci mette in scena dei personaggi che lottano per il loro diritto alla felicità in una società patriarcale che vorrebbe schiacciarli. Icone della comunità LGBTIQ+ di Palermo (ma non solo), Massimo e Gino accolgono nel loro negozietto di pelletteria un’umanità ferita ma mai rassegnata che ha deciso di uscire allo scoperto mostrando la propria multisfaccettata identità. Abbiamo parlato con il regista di cosa ha significato per lui questo film e dell’importanza di essere sé stessi, malgrado tutto.
Cineuropa: Nel suo film la gioia pervade ogni fotogramma, cosa significa questa gioia per lei e per i protagonisti e le protagoniste?
Nicola Bellucci: Questo è un film che non rispetta le norme. È un film che dà gioia ma non è stato girato semplicemente per fare piacere al pubblico. Nel crearlo ci siamo concentrati tanto sul contenuto quanto sulla forma, volevamo che fosse un film con spessore. Detto ciò, volevamo che il pubblico, uscendo dalla sala si sentisse pervaso da un sentimento di felicità e solidarietà. Dopo Il mangiatore di pietre [+leggi anche:
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scheda film], che è un film di finzione, avevo voglia di girare un film come Quir, al tempo stesso liberante e liberatorio.
Il corpo è centrale nel vostro film, un oggetto al contempo estetico e politico. Cosa ci può dire a proposito?
I protagonisti e le protagoniste del film hanno vissuto delle sperienze molto difficili, tristi e violente ma non si abbandonano mai alla commiserazione, al contrario la loro è una vita di lotte per raggiungere una felicità che gli è stata negata. Il mio film raccoglie queste tracce, delle storie di morte, di vecchiaia, di corpi che stanno anche deperendo ma che non si arrendono. Il corpo, la sua rappresentazione filmica, è centrale nel film. Quir mette in scena tutta una sfumatura di corpi, perché il corpo è un oggetto politico. Come dice Massimo, loro sono zombie che riemergono dal passato, dalle loro tombe, corpi a cui viene data una nuova dignità. Quello che conta nel film è ridare visibilità a questi corpi che si ribellano contro gli stereotipi che la società gli appiccica addosso.
Quir è un film che gioca anche con i generi cinematografici, con i concetti di realtà e finzione. È d’accordo con questa lettura?
Quello che mi interessava era la rappresentazione che i personaggi proponevano di sé stessi. A modo loro, tutti e tutte sono dei performers. Quir è sicuramente un documentario però va anche al di là del genere documentario nel senso stretto. Il film si sviluppa un po’ come un gioco in cui alla fine, in qualche modo, il cinema diventa espressione artistica che si emancipa da qualsiasi definizione e genere. Un mio amico l’ha definito “trans cinema”. I corpi dei protagonisti si trasformano come il film stesso passando dal bozzolo alla farfalla e Vivian ne è ovviamente un esempio lampante.
La violenza, anche se palpabile, è lasciata fuori campo, come se non meritasse di essere mostrata. È una scelta consapevole questa?
La storia di fondo del mio film è l’omicidio di due ragazzi, Giovanni e Antonio, a Palermo nel 1980, una storia che non è mai stata chiarita e che all’epoca fece un grande scalpore perché fu proprio da questa che nacque a livello nazionale il circolo Arcigay, di cui Massimo e Gino sono stati i fondatori. Non ho però voluto mettere questo fatto agghiacciante in primo piano nel film, il mio è piuttosto un riferimento simbolico, perché tristemente questi fatti di sangue di matrice omofoba avvengono ancora regolarmente. La cosa che volevo venisse fuori è che ci sono state delle persone che hanno lottato per questi ragazzi. Quella di Massimo e Gino è una storia politica, di lotte che durano da 45 anni, lotte che hanno saputo trasformare il dolore in un atto di gioia.
Qual è il rapporto che Massimo e Gino intrattengono con le nuove generazioni?
A Palermo Massimo e Gino sono le icone della lotta politica per i diritti LGBTIQ+ e la cosa fantastica è che sono stati capaci di accogliere sia il passato che il futuro. I giovani, a Palermo vanno da loro, li stimano e rispettano e apprezzano il fatto che non si sono mai nascosti. C’è un qualcosa, un prendersi cura degli altri, delle persone che fa aprire chi frequenta il loro negozio. Oggi prendersi cura delle persone, non odiarle ma amarle è già di per sé queer. Le persone che vanno nel loro negozio sono a volte completamente diverse tra loro, ma Massimo e Gino sono aperti a qualsiasi incontro. Ognuno dice la sua, dà la sua opinione, come nella vita, e loro accolgono tutti. A volte svolgono anche una funzione terapeutica, fanno una sorta di psicanalisi di strada. Questo mi affascinava tantissimo, si tratta di un negozietto attorno al quale gravita tutto il mondo.
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