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BERGAMO 2025

Christian Petzold • Regista

“Il cinema è sopravvivenza e le donne lottano per la loro identità”

di 

- Il regista tedesco parla del cinema europeo, della rappresentazione delle donne e del suo prossimo film, Miroirs No. 3, di cui ha appena terminato la post-produzione

Christian Petzold • Regista
(© Bergamo Film Meeting)

Al Bergamo Film Meeting in occasione della retrospettiva a lui dedicata nella sezione Europe, Now! il regista tedesco Christian Petzold parla a Cineuropa del cinema europeo, della rappresentazione delle donne e del suo prossimo film, Miroirs No. 3, di cui ha appena terminato la post-produzione.

Cineuropa: Un festival così attento al nuovo cinema europeo le dedica una personale completa. Che pubblico ha trovato?
Christian Petzold: Bergamo Film Meeting è davvero speciale. Non è competitivo, non ha un mercato, sembra che abbia semplicemente il piacere di mostrare dei film che arrivano da oltre le montagne in questa valle. Sono felice di aver portato qui i miei film. Ho trovato un pubblico curioso, che mi ha dato la sensazione di un buon rapporto con il cinema.

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, tra le tante cose, ho visto la “crisi dell’autore”. Il cinema europeo è in grado in questo momento di restituire al pubblico una visione di quello che accade nel mondo?
Si, nel film c’è la crisi dell’autore e c’è anche quella del soggetto maschile, perché c'è questo personaggio, che è appunto un autore di libri, che crede di essere un genio ed è circondato da una gigantesca crisi ecologica di cui lui non si rende minimamente conto. Credo che questo possa essere anche simbolico del cinema europeo, che dovrebbe deve aprire gli occhi su quello che gli sta intorno. Penso che i film europei siano molto interessanti perché sono in gran parte film che hanno visto qualcosa. Questi registi non ci vogliono mostrare qualcosa ma riportarci qualche cosa di loro. Un film spagnolo di Carla Simón o uno danese di Joachim Trier non hanno niente a che vedere con l’Europa, è una storia su Oslo e su un nuovo tipo di donna moderna, con i suoi desideri. Questi sono film europei. Quando ci sono coproduzione di tre-quattro Paesi che vogliono dire qualcosa sull’Europa il film non riesce bene. Questo continente è fatto di cose davvero speciali e siamo curiosi e interessati a punti di vista strani e diversi. Quando avevo 26 anni e studiavo all’accademia, un professore ci disse che dobbiamo fare film che dopo 30 anni facciano capire alla gente come baciavamo, come ballavamo. Una famiglia a cena in un film spagnolo è diversa da una a Parigi.   

Ha appena terminato Miroirs No. 3, che non fa parte della sua “Trilogia degli elementi”, protagonista ancora Paula Beer, qui nei panni di una giovane pianista che perde il fidanzato in un tragico incidente. Dobbiamo aspettarci una sorta di thriller?
Abbiamo finito la post-produzione tre giorni fa e vedendolo il produttore mi ha detto che in realtà è un film sul vento e quindi è diventato automaticamente il terzo film della trilogia. Non è un vero e proprio thriller. È il ritratto di una famiglia ed in realtà è un po' horror, perché c’è sempre qualcosa di horror in tutte le famiglie. C’è la colpa, c'è qualcosa che viene nascosto, ci sono desideri insoddisfatti. In questa tragedia dalla struttura corale c'è questa ragazza che studia la suite di Maurice Ravel del titolo e senza rendersene conto viene manipolata. Il sottotitolo del film è A Ship on the Ocean, un’immagine che in Germania viene utilizzata per indicare una crisi, cioè una nave che sta affondando con la gente che cerca di sopravvivere. Questo film è la costruzione di una zattera di salvataggio.

Le tematiche femminili sono al centro del suo cinema. Si vedono sempre più spesso film con protagoniste donne ma diretti e scritti da uomini. Cosa ne pensa?
Quando ero in giuria a Venezia qualche anno fa mi hanno telefonato dicendomi che mi avrebbero il Women in Cinema Award, e ho pensato che fosse uno scherzo e che magari fosse qualcuna del #metoo che voleva tirarmi i pomodori o uccidermi! Era un premio per il mio modo di ritrarre le donne nel cinema. In quel momento ho ricordato qualcosa che ora posso citare come risposta, una cosa che mi accade quando ero a Venezia nel 2000 con il mio primo film [The State I Am In ndr] e sulla terrazza dell’albergo a fare colazione accanto a me c'era Claude Chabrol, che volevo avvicinare per dirgli quanto il suo cinema avesse avuto enorme influenza sulla mia carriera.  Stava facendo un'intervista e il giornalista gli chiedeva perché effettivamente avesse sempre fatto dei grandissimi ritratti di donne con grandi attrici come Stéphane Audran, Romy Schneider e Isabelle Huppert. Lui diede una risposta che io mi sento di fare mia e cioè che gli uomini nel cinema vivono, le donne nel cinema sopravvivono. E il cinema stesso tratta di sopravvivenza.  Per le donne è molto più difficile, vengono considerate con l'occhio maschile per il loro aspetto fisico o l’appeal erotico. Questa lotta per essere indipendenti e per la loro identità, la lotta per la sopravvivenza deve essere l’oggetto di un film, anche da parte di un regista uomo che raffigura le donne.

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