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CANNES 2025 Concorso

Luc e Jean-Pierre Dardenne • Registi di Jeunes mères

"I bambini hanno dato alle riprese un carattere documentaristico, un imprevisto continuo”

di 

- CANNES 2025: Incontro con i registi belgi per parlare del loro nuovo film, in cui cambiano il paradigma narrativo creando un racconto corale

Luc e Jean-Pierre Dardenne • Registi di Jeunes mères
Luc e Jean-Pierre Dardenne (© 2025 Fabrizio de Gennaro per Cineuropa - fadege.it, @fadege.it)

Dopo aver vinto non meno di otto premi, tra cui due Palme d'Oro in vent’anni, e aver partecipato nove volte in concorso al Festival di Cannes, Luc e Jean-Pierre Dardenne tornano sulla Croisette con Jeunes mères [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Luc e Jean-Pierre Dardenne
scheda film
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Cineuropa: Come è nato questo nuovo progetto?
Jean-Pierre Dardenne:
Siamo partiti dall’idea di una ragazza di 16 anni che vive in una casa maternità e non prova nulla per il suo bambino. Abbiamo pensato che sarebbe stato utile saperne di più sulle case maternità. Siamo andati a visitarne una per fare qualche ricerca. Siamo rimasti colpiti dall'atmosfera, dalla vita e dalla fragilità della vita in quel luogo. C'era gioia e luce in quel luogo. Un giorno, tornati a casa, ci siamo detti: "Noi che vorremmo cambiare il nostro modo di scrivere e raccontare storie, perché non dovremmo interessarci a ciò che accade in quella casa?". Questo avrebbe significato inevitabilmente più personaggi, un grande cambio di paradigma per noi. È partito da lì. Da un'intuizione, più che da storie.

Partite da un luogo, e poi arrivano i personaggi. Cosa ha cambiato per voi il fatto che fossero tanti?
Luc Dardenne:
Molte cose. Come avremmo organizzato queste molteplici incarnazioni? E con ogni personaggio, come avremmo potuto definire i momenti, inevitabilmente più rari, che ci avrebbero permesso di condividere una storia complessa, pur tracciando al suo interno delle ellissi importanti? All'inizio, il film si intitolava La Maison Maternelle. Pensavamo che tutto sarebbe accaduto all'interno. Lavorando, ci siamo detti: "Attenzione a non chiuderci, a non fare qualcosa di troppo costruito". Così abbiamo scelto di lasciarci trasportare dalle singole storie. Siamo stati attenti a non cadere in un catalogo di tutte le sfaccettature della maternità precoce. Volevamo anche offrire a ciascuna, alla fine del percorso, una luce. Fragile, ma pur sempre una luce. È stato allora che abbiamo iniziato a intrecciare le storie che abbiamo cominciato a sfrondare e a costruire. La grande domanda durante la scrittura, le riprese e il montaggio è stata come ritrovare un personaggio dopo averlo abbandonato per diverse scene. Sono domande che non ci eravamo mai posti!

Era importante, quasi militante, offrire un po' di luce a queste giovani donne che lottano contro il determinismo?
J.-P. D.:
Non direi militante, ma un po' lo è. La finzione ci offre questa possibilità, rispetto alla realtà. Una possibilità che ci è sembrata degna di essere esplorata. Mostrare una speranza, per quanto fragile, anche se sappiamo che la realtà non è sempre così.

Come avete concepito i diversi personaggi, le loro sfide e ciò che li unisce?
L. D.:
Sappiamo che la maggior parte di queste ragazze vive una continuità generazionale, un destino che si ripete. E poi c'è la precarietà e la povertà. Ciò che le unisce è anche il rapporto con la madre. Non volevamo ripeterci troppo, anche se le loro situazioni si riecheggiano. Soprattutto, non volevamo presentare ogni possibile situazione.

J.-P. D.: La nostra ossessione era come la vita e la speranza prevalgano nonostante tutto. In definitiva, il film era come posseduto dai 60 anni di storia della casa maternità dove abbiamo girato; c'erano tutte le foto che ce lo ricordavano. Soprattutto, volevamo che il nostro film fosse un oggetto vivo.

Ciò che rende vivo il film sono i bambini, la loro inevitabile spontaneità. Come ha cambiato il vostro modo di lavorare?
L. D.: Abbiamo fatto molte prove, come al solito, soprattutto perché avevamo cinque attrici. La grande differenza per noi sono stati i bambini. Abbiamo provato con le bambole, ma quando sono arrivati ​​i bambini, inevitabilmente è cambiato tutto. È stata l'irruzione della vita nella scena. La priorità era tenere i bambini bene in braccio, ma anche giocare con loro, anche se ciò significava cambiare o spostare le battute. Bisognava inventare. I bambini erano un elemento documentario nella scena, un imprevisto continuo. Ci sono state coincidenze felici, momenti di grazia. Per noi, ha cambiato due cose molto importanti. Primo, abbiamo perso il gusto della perfezione. Prima, ricominciavamo da capo, spostando appena la macchina da presa, aggiustando un movimento al millimetro. Ma qui, quando andava bene con un bambino, eravamo felici, soddisfatti. Il secondo aspetto è stato il piacere di girare più velocemente. C'era una bella energia sul set. È buffo perché era più la troupe a incoraggiarci a rallentare, mentre noi eravamo contenti dell'idea di andare più veloci.

(Tradotto dal francese)

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