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CANNES 2025 Quinzaine des Cinéastes

Christian Petzold • Regista di Mirrors No. 3

"Voglio sentire, non affidarmi alle parole"

di 

- CANNES 2025: In occasione della sua prima volta sulla Croisette, il regista tedesco discute i meriti di realizzare film più semplici ma con una forte risonanza emotiva

Christian Petzold • Regista di Mirrors No. 3
(© Marco Krueger/Schramm Film)

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segna la quarta collaborazione tra Christian Petzold e l'attrice Paula Beer, che interpreta Laura, una studentessa di pianoforte che si ritrova a vivere in campagna dopo un tragico incidente d'auto. Affidata alle cure di una donna del posto (Barbara Auer) e del marito e del figlio tuttofare, Laura viene riportata alla normalità, in una nuova famiglia che accetta con piacere. Mirrors No. 3 è un film tranquillo, debitore di Hitchcock e dei precedenti lavori di Petzold, ma ciò che emerge più di ogni altra cosa è la passione del regista tedesco per le relazioni umane. Cineuropa lo ha intervistato dopo la première del suo ultimo film, selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes.

Cineuropa: Perché Mirrors No. 3 è ambientato tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno?
Christian Petzold: Mi piace che la sua prima domanda riguardi le stagioni! Volevamo girare a settembre o ottobre per via dell'autunno. Non volevo che avesse un'atmosfera primaverile o estiva. Volevo la bellezza e lo splendore degli ultimi giorni d'estate, quando sai già di dover trovare una casa e un amico o qualche compagno per l'inverno.

Per la prima volta da The State I Am In, torna a parlare di una famiglia, ma nel suo nuovo film c'è una nuova "algebra" di relazioni umane. Se Il cielo brucia [+leggi anche:
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parlava di due persone e poi di una terza, in Mirrors No. 3 i numeri crescono: una famiglia di tre ne accoglie una quarta. Cosa ci dice questo sulla dimensione sociale del suo cinema oggi?
Lo ammetto, nessuno me l'ha mai chiesto prima. Allora, prima di tutto, adoro i musical. La musica è molto importante per me, ma i musical li amo profondamente. In secondo luogo, penso sempre alla struttura del film nel suo complesso, e in questo caso mi ispiro ai musical in termini di coreografia. C'è una [persona], e ce n'è un'altra [persona], e mentre ballano, arriva una seconda coppia [di ballerini], che influenza anche il modo in cui ballano le altre due.

Come si traduce questo nel suo lavoro con gli attori, visto che sono tutti suoi collaboratori abituali?
Agli attori piace parlare di una storia come questa in termini coreografici. Odiano quando parlo loro di aspetti psicologici perché ti fa rimanere intrappolato in te stesso. Ma quando sei un ballerino, osservi l'altro, la stanza, la distanza tra te e lo spazio. In entrambi i miei ultimi due film, abbiamo una casa che funge da palcoscenico per i ballerini, e quando iniziano a danzare, la vita inizia a tornare da loro. Inoltre, quando il marito e il figlio si uniscono alle due donne, la coreografia cambia; quando una è assente e ne rimangono solo tre, cambia di nuovo.

Come ha costruito questi personaggi senza un background? La loro danza metaforica funziona, anche se né loro né noi sappiamo nulla del loro passato.
In effetti, avevo scritto una biografia per ognuno di quei personaggi, in modo che gli attori potessero avere qualcosa su cui basarsi. Per esempio, la madre era un'insegnante in una grande città, a Monaco. Lì ha avuto una tragica storia d'amore, così ha deciso di lasciarsi alle spalle la complessità della città e di diventare insegnante in un piccolo paese. Il primo giorno, la sua auto si rompe e per fortuna arriva un ragazzo che la ripara. Lei si innamora delle sue mani e della sua capacità di aggiustare tutto. Ecco perché nella loro casa, nel film, si vedono grandi librerie: libri per la mente e strumenti di riparazione per le mani.

C'è qualcosa che la attira, immagino, in una situazione in cui gli uomini sono tuttofare, mentre la donna è tutto cervello. Mi viene in mente il personaggio di Franz Rogowski in Undine [+leggi anche:
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Sì, è proprio così! All'epoca del cinema delle origini, negli anni '20, quando i film erano muti, si vedevano molto le mani: l'espressione delle mani, come si toccavano e quanto nervose potessero apparire. E con l'avvento del cinema sonoro, le mani hanno perso la loro espressione; è perché abbiamo volti e labbra, e abbiamo occhi. Franz Rogowski non ha mai frequentato una scuola di recitazione: era un ballerino e un clown, quindi è abituato a fare moltissime cose con le mani. Ricordo di aver detto al mio cameraman [Hans Fromm]: "Voglio vedere le sue mani". Credo che queste siano le cose che voglio vedere in un film: voglio sentire, non affidarmi alle parole. Voglio vedere l'espressione delle mani, l'espressione dei corpi.

(Tradotto dall'inglese)

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