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CANNES 2025 Un Certain Regard

Pedro Pinho • Regista di I Only Rest in the Storm

“Faccio molti casting su Instagram, ho creato il mio account solo per fare casting!”

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- CANNES 2025: Il regista portoghese fa luce sul suo film epico e complesso, che segue un lavoratore di una ONG in difficoltà in Guinea-Bissau e i suoi fallimentari tentativi di fare del bene

Pedro Pinho • Regista di I Only Rest in the Storm
(© 2025 Fabrizio de Gennaro per Cineuropa - fadege.it, @fadege.it)

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di Pedro Pinho è stato selezionato quest'anno nella sezione Un Certain Regard di Cannes, ottenendo un notevole successo di critica, nonostante il film duri 211 minuti e la première si sia tenuta durante l'intenso primo fine settimana del festival. Non rinunciando a indagare su temi impegnativi con una durata epica, l'ambizione di Pinho dà i suoi frutti in questo film, che fa seguito al suo lungometraggio del 2017, The Nothing Factory [+leggi anche:
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, un "musical neorealista" che ha avuto un ottimo riscontro nei festival e un notevole successo in sala in alcuni territori.

I Only Rest in the Storm segue Sérgio (Sérgio Coragem), un ingegnere ambientale inviato in Guinea-Bissau, dove supervisiona l'installazione di nuove infrastrutture stradali. Eppure, nonostante la sua competenza in questo settore, fatica a trovare il suo posto nella comunità di espatriati, e le "ferite" del neocolonialismo, per citare le parole di Pinho, vengono a galla. Il regista portoghese ci dice di più.

Cineuropa: Ha costruito i personaggi principali, Sérgio e Diára, attorno agli attori che li interpretano?
Pedro Pinho: Avevamo ideato e scritto i tre personaggi principali, ma sapevo che solo una volta trovati i corpi reali per dare vita a questi personaggi sarei stato pronto a realizzare e scrivere completamente i loro aspetti drammaturgici. Volevo che il personaggio maschile fosse un ingegnere ambientale perché questa storia è nata un po' da lì, da un'esperienza che ho avuto in passato in Guinea-Bissau, quando stavo preparando un documentario. Un mio amico è venuto con me e il mio compagno di allora nel nord della Guinea-Bissau, dove ha trovato lavoro come ingegnere ambientale presso una ONG. L'idea mi è venuta da quell'esperienza: questo lavoro è così preciso in termini di gesti.

Diára è stata costruita su un certo numero di persone che avevo incontrato in precedenza, non solo a Bissau, ma anche in altri luoghi. Ho un'amica molto cara, molto più anziana del personaggio, ma che fa lo stesso lavoro a Capo Verde. Quindi, ho copiato anche quelle caratteristiche da lei. Jonathan Guilherme è stato l'attore più difficile da trovare. Avevo incontrato tutte le persone della comunità queer di Bissau che compaiono nel film, ma la strada da percorrere era ancora lunga, così ho iniziato a cercare qualcuno che venisse da fuori, dal Brasile, e che potesse incarnare il sentimento di dislocazione che hanno tutti e tre. Un giorno, mentre cercavo su Instagram un attore, ho visto un suo amico. Non era un attore, Jonathan [Guilherme], ma ho iniziato a seguirlo e me ne sono innamorato perdutamente.

Sento sempre più registi parlare del valore di Instagram per questo tipo di ruoli, rispetto ai tradizionali annunci e database.
Faccio molti casting su Instagram. Ho creato il mio account solo per fare casting!

Potrebbe approfondire come il film descrive la disuguaglianza persistente tra Europa e Africa e come questa sia facilitata dal capitalismo moderno? Suppongo sia realistico dimostrare che gli sforzi delle ONG sono vani.
Questo è uno dei temi centrali del film: il rapporto tra l'Europa e il resto del mondo, e il dominio e l'egemonia globale dell'Europa. Credo che questo si perpetui in diversi modi, uno dei quali è il potere che l'Europa e l'Occidente esercitano attraverso la cooperazione internazionale: le ONG, la costruzione di infrastrutture, tutto questo. Non si tratta del fatto che queste infrastrutture siano necessarie e importantissime, ma del modo in cui questo rapporto perpetua quello che potremmo chiamare neocolonialismo. Volevo esaminare i meccanismi di questo fenomeno nel film e analizzare i personaggi in questo contesto.

In che modo l'identità sessuale e la fluidità di Sérgio – la sua bisessualità – si collegano a tutto ciò che sta affrontando nel suo difficile lavoro? Credo che sia un mistero per il pubblico, e anche per lui.
C'è un legame diretto nel fatto che questi squilibri di potere sono nascosti. Sono sempre in qualche modo legati anche al desiderio. E non è difficile trovare espatriati che commentano la facilità di accesso ai corpi. Questo crea un'impressione molto forte sulle persone che vanno lì a lavorare. Anche in questo caso, ho cercato questa comunità di persone che vanno a lavorare nelle ONG e che sono molto simili a me, nelle loro convinzioni e nel loro sistema morale ed etico. Ma si trovano in una situazione in cui questo è un elemento molto forte. Il fatto di essere anche espatriati crea un senso di libertà e di liberazione legato alla sessualità.

(Tradotto dall'inglese)

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