Giona A. Nazzaro • Direttore artistico, Locarno Film Festival
“Oggi Locarno è un osservatorio imprescindibile per capire dov’è il cinema contemporaneo”
- Il direttore artistico della rassegna svizzera ci ha parlato del programma di quest’anno e dell’importanza di costruire una proposta che rifletta adeguatamente la complessità di questo momento storico

In vista della nuova edizione del Locarno Film Festival (6-16 agosto), il direttore artistico Giona A. Nazzaro ci ha raccontato la visione che ha guidato la costruzione della selezione. Dal Concorso Internazionale alla sezione Cineasti del presente, fino a Piazza Grande e ai Pardi d’onore, emerge un lavoro volto a valorizzare il rischio, la responsabilità narrativa e un’apertura radicale verso le forme del cinema contemporaneo. L’intervista si snoda tra riflessioni sul panorama mondiale, la funzione politica del raccontare e il ruolo di Locarno nel sistema festivaliero globale.
Cineuropa: Per prima cosa, le chiederei di concentrarsi sul Concorso Internazionale. Quali tendenze, temi e geografie sono emerse in particolare?
Giona A. Nazzaro: Non è emerso nessun tema, tendenza o geografia in particolare. Abbiamo tentato di costruire un programma che potesse riflettere in maniera adeguata le complessità del momento storico, che fosse in grado di restituire questa complessità nell'autonomia del fatto filmico. Quindi abbiamo valutato, come sempre, film per film. Ho sempre avuto una grande diffidenza in merito al cercare i temi, anche perché mi sembra che il cinema debba affermarsi per quel che fa, per quello che vuole dire. D’altronde, ho sempre avuto anche una grande diffidenza nei confronti del contenutismo. Detto questo, ovviamente il programma è in qualche modo portatore delle paure e delle inquietudini che purtroppo verifichiamo ogni giorno.
Nel momento in cui l’abbiamo messo a punto, ci sono nel mondo più di una cinquantina di guerre di cui non si parla quasi mai. Il mondo non si è mai trovato in una situazione così drammatica da tantissimi anni. Quindi, pur riflettendo sempre in maniera molto forte rispetto al valore del singolo film all'interno del contesto del programma, ci siamo anche chiesti il senso di quello che stavamo facendo. Se da qui a quindici anni qualcuno si volgesse indietro e guardasse a Locarno, ci piacerebbe emergesse il sentimento che chi ha realizzato questo programma si sia in qualche modo confrontato con delle questioni importanti.
Parliamo invece di Cineasti del presente. Che tipo di lavoro avete fatto su questa sezione?
Cineasti del presente è il luogo dove si affrontano due sfide. Da un lato bisogna presentare una selezione di una forza tale da essere considerata un luogo dove il meglio delle energie del cinema europeo e mondiale si ritrovano; dall’altro, dobbiamo presentare cineasti che possano sperare di avere un futuro più ampio. Se la sezione era un tempo considerata più una palestra, ora mi sembra sia giunta a una maturazione formale e linguistica molto più precisa. Questo è interessante perché il Concorso Internazionale, che presenta molti film di cineasti affermati, mostra invece un rinnovato piacere del rischio.
Questa assunzione di responsabilità nei confronti della narrazione è importante, perché oggi le narrazioni dominanti sono legate all’immediato – quindi alla diffusione delle notizie – oppure alle cosiddette proprietà intellettuali, i franchise, i sequel. Trovo estremamente intrigante il fatto che ci siano registi che si pongono il problema della responsabilità del raccontare.
Ha dei titoli in particolare che incarnano questa spinta al rischio e alla sperimentazione?
I film che abbiamo scelto li abbiamo selezionati nell'arco di un anno, lavorando a partire da settembre. Ci siamo immersi in un numero enorme di submission e abbiamo fatto anche un lavoro di ricerca attiva, soprattutto per quanto riguarda le registe, la cui percentuale resta troppo bassa. Titoli come Balearic, la commedia Folichonneries, oppure il film di fantascienza The Fin sono, per me, il segno di un conseguimento della maggior età della selezione. Un altro esempio notevolissimo è Olivia, che dimostra come il cinema giovane sia capace di assumersi rischi estremamente interessanti. Grazie alla loro autonomia progettuale, questi film si presentano anche come interlocutori credibili per il mercato.
Piazza Grande e il Fuori Concorso restano due poli forti della proposta. Che tipo di approccio avete adottato per queste sezioni?
Sul Fuori Concorso abbiamo tentato di creare un luogo dove ci fosse un cinema estremamente diversificato, vitale e portatore di grande energia. Ad esempio, titoli come il fantasy Deathstalker o il nuovo film di Pippo Delbono Bobò non sono lì in nome di un generico eclettismo: abbiamo puntato su espressioni cinematografiche capaci di dialogare col pubblico seguendo una curiosità senza pregiudizi. Per quanto riguarda Piazza Grande, abbiamo tentato di costruirla come coronamento della giornata festivaliera, spesso preceduta da un evento. Non ci siamo preoccupati unicamente del grande pubblico, ma piuttosto di proporre narrazioni forti in grado di riunire quante più persone possibile.
Quest’anno presentate due titoli di Jean-Stéphane Bron, tra i quali figura The Deal [+leggi anche:
recensione
scheda series], una serie thriller sui negoziati sul programma nucleare iraniano del 2015. Cosa l’ha convinta a sceglierla?
È molto semplice: ho visto la serie tutta di fila durante un viaggio e mi ha colpito immediatamente. Avevo pensato di proiettare tutti e sei gli episodi di seguito, ma era un po’ disagevole. Così abbiamo deciso di creare un assaggio con due episodi in Piazza Grande – la stessa lunghezza di un film – e proseguire in sala con i restanti quattro. Non è la prima volta che mostriamo un prodotto seriale a Locarno. Mi piace questa modalità di fruizione ibrida. Inoltre, sono rimasto sorpreso dal fatto che Bron, documentarista, esordisca proprio con una serie TV così interessante.
E sui Pardi d’onore e gli altri ospiti premiati?
I Pardi d’onore e gli altri premi sono l’espressione del desiderio di allargare la famiglia del festival. Jackie Chan, Lucy Liu, Emma Thompson, Milena Canonero, Alexander Payne e la società di produzione libanese Abbout rappresentano per me l’essenza di un cinema contemporaneo, al presente indicativo. Mi fa piacere che tutte queste figure possano confluire verso Piazza Grande.
Infine, come descriverebbe oggi Locarno nel contesto del panorama festivaliero?
Oggi Locarno è un osservatorio imprescindibile per capire dov’è il cinema contemporaneo. Mi piace pensare a Locarno come a un’estensione di quanto è stato fatto tra la seconda metà degli anni Ottanta e i Novanta: un faro di curiosità cinematografica e di modernismo ancorato nel presente ma che guarda saldamente al futuro.
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