Virgilio Villoresi • Regista di Orfeo
“Ho scelto di adattare Poema a fumetti perché mi ha offerto l'opportunità di riunire tutte le tecniche che ho affinato nel corso degli anni”
- VENEZIA 2025: Il regista italiano esordiente ci parla del suo amore per il cinema e dei ricordi personali che hanno influenzato il suo film

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recensione
intervista: Virgilio Villoresi
scheda film], un adattamento cinematografico del Poema a fumetti di Dino Buzzati, offre un’interpretazione alternativa del mito di Orfeo ed Euridice in chiave contemporanea. È un film sull’amore, ma anche sulla morte, il desiderio e lo smarrimento in un mondo surreale che si trasforma davanti agli occhi dello spettatore. Alla Mostra del Cinema di Venezia, dove il film è presentato fuori concorso, abbiamo parlato con il regista Virgilio Villoresi delle sue influenze, del suo amore per il balletto e per le atmosfere vintage e barocche.
Cineuropa: qual è stata la sfida più grande nell’adattare Poema a fumetti per lo schermo? Cosa rappresenta per lei questo romanzo culto?
Virgilio Villoresi: La sfida più grande è stata senza dubbio quella di tradurre in linguaggio cinematografico un’opera come Poema a fumetti, concepita come graphic novel altamente visionaria ed evocativa, ma al contempo estremamente frammentata. Il testo di Buzzati si dipana attraverso libere associazioni di immagini, metafore e spesso vignette disgiunte, con una struttura più lirica che narrativa. Insieme a Alberto Fornari, co-sceneggiatore del film, ho lavorato a lungo proprio su questo punto: trovare una coerenza cinematografica e costruire un impianto narrativo capace di preservare la libertà espressiva dell’opera originale offrendo allo stesso tempo al pubblico un’esperienza cinematografica compiuta. Per me, questo romanzo ha rappresentato, in un certo senso, l’apertura di una porta sull’immaginazione. L’ho scelto proprio perché offriva l’occasione di esprimere pienamente il mio immaginario e di mettere insieme, in maniera organica, tutte le tecniche che ho affinato negli anni.
La musica è estremamente presente nel film; qual è il suo rapporto con la colonna sonora?
Durante la lavorazione, ho chiesto più volte a Angelo Trabace di comporre la musica già prima dell’inizio delle riprese, affinché mi guidasse nel modellare ogni scena, il suo ritmo e la sua atmosfera. In questo modo, la musica è diventata una presenza viva, una sorta di entità invisibile che ha influenzato profondamente le mie scelte di regia e di montaggio. Si è quasi trasformata in un personaggio a sé – impalpabile eppure centrale – capace di guidare lo spettatore nell’interpretazione delle emozioni.
La danza classica e, soprattutto, la figura della ballerina, metafora di eleganza ma anche di sacrificio e crudeltà, sono mostrate nel film in modo molto poetico. Qual è il suo rapporto con questa forma d’arte?
La decisione di creare un personaggio femminile legato alla danza nasce da una duplice spinta: da un lato è un riferimento al romanzo di Dino Buzzati Un amore; dall’altro è una scelta fortemente autobiografica. Fin dall’infanzia sono stato profondamente influenzato dal mondo della danza: mia madre era insegnante di danza classica e, da bambino, mi sedevo sul pavimento della sala di danza di casa a fare i compiti mentre lei insegnava alle sue giovani allieve. Ricordo nitidamente la musica, la scansione ritmica, le sue correzioni, la grazia dei movimenti: tutto questo ha lasciato in me un segno indelebile, plasmando profondamente il mio immaginario artistico.
Credo che sia lì che sia nato il mio fascino per l’armonia del movimento, per la musicalità del gesto e per il potere evocativo del corpo in un certo spazio. In Orfeo, la rappresentazione del balletto è insieme un omaggio a questo ricordo personale e intrecciata a precisi riferimenti cinematografici. Esteticamente mi sono ispirato al cinema di Michael Powell e Emeric Pressburger: film come Scarpette rosse bruciano costantemente nella mia memoria visiva, e mi è parso naturale provare a ricreare quella stessa atmosfera sospesa, visionaria, ipnotica.
I costumi e le scenografie sono estremamente dettagliati, barocchi e surreali, ma anche tragici, come in un’opera. A tratti, il suo film richiama Dario Argento, Méliès, la Metropolis di Fritz Lang o Loie Fuller. Quali sono state le sue influenze e quale atmosfera voleva creare?
Ha colto perfettamente tutti i rimandi. Quanto alle atmosfere, le influenze sono molteplici, sia cinematografiche sia visive. Nella prima parte del film, il mio immaginario è stato fortemente nutrito dal cinema di William Dieterle, che coniuga mistero, lirismo e una dimensione onirica. Man mano che il film scivola verso territori più surreali, i riferimenti diventano più esplicitamente poetici e simbolici: su tutti, Jean Cocteau, ma anche l’opera visionaria e mitopoietica di Maya Deren, che ha plasmato profondamente la mia sensibilità.
Al contempo, nutro una profonda ammirazione per l’arte e il design italiani del Novecento, per l’estetica dell’epoca e la sua raffinata attenzione al dettaglio, senza dimenticare l’influenza spettacolare dei film coreografati di Busby Berkeley – capace di trasformare ogni elemento in parte di una sinfonia visiva. Devo anche ammettere che questa attenzione agli oggetti e alle atmosfere nasce da un’inclinazione personale: sono un collezionista di oggetti vintage, e questa passione ha inevitabilmente influenzato lo stile e le scelte estetiche del film.
(Tradotto dall'inglese)
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