Andrea Di Stefano • Regista di Il maestro
“Mi sono sempre chiesto perché i film sullo sport parlano solo dei vincenti”
- VENEZIA 2025: Con il regista italiano abbiamo parlato del suo film interpretato da Pierfrancesco Favino nei panni di un tennista fallito

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intervista: Andrea Di Stefano
scheda film], diretto da Andrea Di Stefano, presentato Fuori concorso. Favino interpreta una ex promessa del tennis, che ha conosciuto la gloria e poi il baratro delle sconfitte. Un perdente che allena un ragazzino di tredici anni che porta sulle spalle le aspettative del padre, in una parabola di cadute e rinascita. Ne abbiamo parlato con il regista.
Cineuropa: Il film arriva nel momento in cui le vittorie di Jannik Sinner hanno allargato la platea di coloro che si interessano al tennis.
Andrea Di Stefano: Il film è stato pensato più di 15 anni fa. E’ la mia prima sceneggiatura. Sono felice di quello che sta accadendo adesso al tennis italiano, ma questo è un film che parla di altro e ho deciso di farlo perché fondamentalmente ho trovato l’attore giusto. Sentivo anche di dovermi staccare dai film di genere. Avere a che fare con le emozioni, dirigere gli attori in film con certe tematiche. Questo è il cinema che più mi corrisponde.
A quali tematiche si riferisce?
E’ una storia di formazione, un buddy movie, puoi chiamarlo come vuoi. Ma fondamentalmente da ex sportivo non riuscivo a rispecchiarmi nei film sugli sport, perché parlano sempre di quelli che vincono. Io non ero un vincente e mi chiedevo perché non ci fossero film sugli sportivi che non vincono. Prima che cominci il torneo, tutti hanno i loro sogni di gloria, anche i meno forti. Sono partito da questo per raccontare due parabole, una che sogna la gloria nel presente e uno che la gloria l’ha sfiorata nel passato. Sapevo che in questo confronto c’era del materiale su cui lavorare.
Si è ispirato a qualcuno?
Mi sono ispirato ad un personaggio reale, il mio maestro di tennis e gran parte delle scene che ho messo nel film sono situazioni che io ho vissuto direttamente.
Quando l’ha proposto a Pierfrancesco Favino?
Eravamo durante la promozione de L’ultima notte d’Amore [+leggi anche:
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intervista: Andrea Di Stefano
scheda film], c’era una strana asimmetria tra il successo del film e come noi ci sentivamo: era una cosa di grande complessità produttiva che avevamo fatto con tanta fatica, ma ci mancava il “metterci in difficoltà”, qualcosa di nuovo e diverso. Lui ha deciso di fare un lavoro in profondità su questo personaggio. Ci sono pochi attori che possono fare quello che lui ha fatto in questo film.
E’ personaggio tragico, un uomo fragile dotato però di grande ironia.
Io so che c’è un’emozione nascosta, la mia abilità deve essere quella di portarla a galla. Non riesco a fare un cinema “concettuale”. Mi piace raccontare una società ingiusta, in cui un padre può imporre al figlio le sue scelte e un maestro di tennis decide di rovinarsi la vita e abbandonare sua figlia. Queste traiettorie di vita ci portano ad un’emozione. Poi è importante lasciare che lo spettatore vada a casa dopo aver visto il film e rielabori, come se il film dovesse continuare in questa elaborazione. Ho sempre osservato la vita dal bordo della strada, non ho bisogno di rappresentare una tesi.
E’ stato complicato girare i match di tennis?
E’ stato un incubo. Girare il tennis è complicatissimo, con i tempi che avevamo ci siamo dovuti ingegnare per farlo bene. E’ stata una sfida e ho imparato tanto. Sapevo fin dall’inizio, che non sarei entrato nella dinamica del “15-0, 30-15…match point…”. Ho trovato l’escamotage della linea sul campo. Davanti alla linea, dietro alla linea… sono luoghi dell’anima. Il tennis è una palette di azioni che non è stilistica ma narrativa. E’ un dialogo. C’è sempre il rischio di fare dei movimenti di macchina che sono solo autocelebrativi. A questo proposito, sento da un po’ di anni un’atmosfera stantia nel cinema, come se avesse perso il suo potenziale narrativo.
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