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CINEMAMED 2025

Mohamed Siam • Regista di My Father’s Scent

“Volevo catturare quel momento in cui un bambino vede il genitore non come una figura d'autorità, ma come un essere umano complesso e vulnerabile”

di 

- Il regista egiziano racconta la storia di uno scambio intimo e crudo tra due protagonisti al limite delle loro possibilità

Mohamed Siam • Regista di My Father’s Scent
(© Jules Toulet)

Opera intrisa di memoria e risonanza emotiva, My Father’s Scent [+leggi anche:
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trailer
intervista: Mohamed Siam
scheda film
]
di Mohamed Siam ha rapidamente fatto il giro di vari festival, raccogliendo consensi in Europa e nel mondo arabo. Secondo i giurati di Cineuropa Pilar Campos, Patricio Jeretic e Maroussia Picq che gli hanno assegnato il Premio Cineuropa all'ultima edizione del Cinemamed di Bruxelles, dove ha vinto anche il Grand Prix (leggi la news), il film “è riuscito a catturare, con autenticità, tenerezza e umorismo, lo scambio intimo e crudo tra due protagonisti allo stremo”. Siam riflette sulle origini di questa storia intima, sul suo approccio stilistico e sul significato del crescente riconoscimento internazionale.

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Cineuropa: Che cosa l'ha spinta a raccontare questa storia?
Mohamed Siam:
L'ispirazione per My Father’s Scent è arrivata dopo la morte di mio padre, quando ero molto giovane. L'unica cosa che ho trovato tra i suoi effetti personali è stata una bottiglia di colonia vuota. Quando l'ho annusata, ho avuto la sensazione di aver spalancato una porta sulla memoria: è attraverso quel momento semplice e intimo che è nata l'idea del film. La storia è cresciuta a partire dai miei ricordi, modellata dalle tracce che i nostri cari lasciano dietro di sé. My Father’s Scent nasce da un'esplorazione della memoria, dell'assenza e del filo fragile che lega padri e figli. Volevo catturare quel momento universale in cui un figlio inizia a vedere il proprio genitore non come una figura d'autorità, ma come un essere umano complesso e vulnerabile.

Il suo approccio alla regia di questo film è molto particolare. Come ha lavorato sullo stile e come ha affrontato i vincoli di produzione?
Il mio approccio è stato quello di ambientare il film in un'unica location, o quantomeno far sì che tutto sembrasse svolgersi all'interno dello stesso spazio familiare. Volevo che il pubblico si affezionasse a ogni ambiente, a ogni angolo di strada e, naturalmente, all'auto, per avvertire quel senso di intimità e familiarità man mano che la storia si snoda.

La mia intenzione stilistica era di mantenere la macchina da presa per lo più ferma, lasciando che fosse la distanza emotiva tra padre e figlio a parlare. Il movimento avviene solo quando la camera avanza o arretra lungo il corridoio che separa fisicamente e simbolicamente i loro due mondi e le loro stanze. La sfida più grande è stata completare le riprese in sole due settimane, con vincoli sia di tempo sia di budget. Ma quelle limitazioni, alla fine, hanno rafforzato il focus e l'energia del film.

Che cosa significa per lei questo riconoscimento internazionale in questa fase del percorso del film?
Siamo stati molto fortunati con l'accoglienza: un premio a El Gouna, due riconoscimenti al Cinemamed e il premio per il miglior contributo artistico al Fajr International Film Festival, il tutto in meno di un mese. Finora ogni proiezione, sia in Europa sia nel mondo arabo, è andata esaurita. Eppure, per me il successo non si misura con i numeri; conta ciò che rimane allo spettatore dopo. Se qualcuno il giorno dopo si ritrova a pensare al film o a canticchiarne la colonna sonora, o racconta a una persona cara come lo ha toccato, allora il film ha fatto ciò che speravo: essere un'esperienza che non solo ti attraversa, ma lascia anche qualcosa.

Ricevere due premi al Cinemamed conferma che le storie della nostra regione possono risuonare oltre i confini, che il cinema può essere ancora al tempo stesso personale e universale. Spero che il pubblico ritrovi in My Father’s Scent il riflesso delle proprie famiglie, delle proprie perdite e riconciliazioni.

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(Tradotto dall'inglese)

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