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Roberto Benigni • Regista

La vita è bella anche a Baghdad

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"Né buonista né ideologico. Ma arriva al cuore". Roberto Benigni ha difeso così il suo ottavo film da regista, La tigre e la neve. In equilibrio tra realismo, grottesco e sublime, le peripezie del poeta innamorato Attilio dimostrano che la vita è bella anche nel bel mezzo di una guerra e che l'importante è non arrendersi mai.

"E' una storia d'amore, sulla forza dei sentimenti che è la più eversiva del mondo. In fondo questo ometto, seduto su quella poltrona da barbiere con uno schiacciamosche in una mano combatte una sua guerra personale a Baghdad, mentre fuori c'è l'inferno.
Mi rendo conto che ci sono opere moderne documentaristiche che vanno alla testa. Il mio film va al cuore e lo spacca, entra nella coscienza e nell'anima perché è contro la guerra. Non è un film dolciastro, è anche feroce, perché c'è la morte violenta. Non pretendo di essere Esopo, ma intendo far distrarre e commuovere, perché l'arte e il cinema ci consolano. Ci sono insieme la commedia e la tragedia, parti in cui ci si diverte e parti in cui ci si commuove. Vedere una bella storia d'amore non è buonismo, è potenza senza ideologia".

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Il protagonista è un poeta, un uomo che vive in un sogno ma è ricco di innocente energia.
"E' una delle poche volte che si vede un poeta protagonista di un film! Un poeta che vive come tutte le altre persone, che insegna alle figlie come trovare e mettere insieme le parole. Il suo lavoro non è facile, richiede tempo. Ricordo un aneddoto. Mentre ero impegnato nella sceneggiatura del Piccolo diavolo, Federico Fellini mi chiese perché non la scrivevo insieme al poeta Andrea Zanzotto e subito davanti a me lo chiamò al telefono. Chiesi a Zanzotto: 'Non so quali siano i suoi tempi, maestro?'. E lui mi rispose 'A volte per trovare una parola impiego 8 o 9 mesi'. Ecco, la poesia richiede un lavoro enorme".

I due poeti del film si incontrano sullo sfondo di un conflitto terribile. Ognuno reagisce in maniera differente. Il poeta iracheno Fuad, che ha deciso di lasciare l’Europa per rientrare in patria, dice: Solo una guerra perduta è più brutta di una guerra vinta. Entra in una moschea, poi si uccide.
"Spesso i poeti si uccidono durante le guerre, è sempre accaduto, le persone sensibili non ce la fanno a sopportare la volgarità e l'insensatezza della guerra. La voglia di vivere di Attilio, il mio personaggio, è quasi disperata, fa paura. E’ guidata dall’amore, che è un sentimento folle, ti sbrana, sconvolge il tuo mondo, è spasmodico e prepotente".

Seppure ambientato durante la guerra, il film non prende posizione sul conflitto iracheno e sulla presenza americana. Forse ci si aspettava un taglio più politico, più schierato.
"Ne La Vita è bella gli americani sono i liberatori, qui il poeta li vede come una pura presenza, non li giudica. I soldati sono rappresentati con grande pietas, sono persone che si trovano là perché hanno bisogno di lavorare, sono 'disoccupati armati', come li ha chiamati Carlo Cassòla. Certamente il sentimento contro la guerra che fanno sorgere è molto, molto forte.
Credo comunque che un discorso diretto contro la guerra non faccia presa sul pubblico. Un approccio indiretto invece ha più forza evocativa. Così vediamo la parodia di un kamikaze e il paradosso di un Attilio inconsapevole che corre in un campo minato".

Il testo è arricchito da magnifiche liriche, ma la poesia viene sintetizzata visivamente nei volti di Borges, Montale, Ungaretti e Marguerite Yourcenar. Anche le citazioni cinematografiche sono dirette. In particolare, perché ha usato quelle immagini de Il buono, il brutto e il cattivo" di Sergio Leone?
"I poeti vengono visualizzati nel sogno del protagonista, sono metaforici ma riconoscibili, anche chi non li conosce ne vede la bellezza, perché sono volti da sogno, come anche quello di Tom Waits, facce bellissime di signori straordinari che ci hanno fatto sognare! Quanto a Sergio Leone, non bisogna ricercare troppi significati, si tratta solo di un espediente narrativo, necessario per la scena dell'incontro con la donna".

Ancora una volta protagonista femminile è sua moglie Nicoletta Braschi, anche produttrice del film.
"Ogni volta scelgo Nicoletta perché mi sembra quella che rappresenta meglio il personaggio. Volevo una protagonista elegante, severa, misteriosa e dolcissima".

Ha pensato di proiettare il film in Iraq?
"Ho la speranza e la volontà che accada. Anche perché il film si è avvalso della consulenza di iracheni che hanno amato molto la sceneggiatura".

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