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Carlos Reygadas • Regista

"Tutti esseri umani"

di 

- Incontro con un giovane regista sicuro di sé che affronta le aporie della società per scandagliare senza pietà l'animo umano

Di passaggio a Parigi a fine agosto, Carlos Reygadas svela a Cineuropa qualche segreto del suo esplosivo Batalla en el cielo [+leggi anche:
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scheda film
]
, il suo secondo film, che ha infiammato il Festival di Cannes lo scorso maggio. Torniamo alla genesi del film con questo regista poliglotta e affascinante, a metà tra il filosofo e l'uomo d'azione.


Cineuropa: Qual è stata l'idea di partenza per Batalla en el cielo?
Carlos Reygadas: Avevo visto in televisione dei criminali che, una volta arrestati, avevano dichiarato:"Sono stato obbligato ad uccidere la vittima perché non avevo un posto dove tenerla e, non pagando il riscatto, la sua famiglia mi impediva di lavorare ". Quasi si lamentavano del fatto che, quello che credevano fosse il loro sacrosanto diritto al lavoro, fosse stato sbeffeggiato. Mi sono dunque posto la questione di scoprire cosa succede quando il 'senso di colpa' (inteso come quello da cui è afflitto Raskolnikov in Delitto e castigo di Dostoïevski) non esiste, quando si vive in un ambiente in cui la morale comune è scesa ad un livello così basso. Volevo fare un film su questo argomento ma senza moralismi. Non si tratta del senso di colpa nel senso occidentale del termine, piuttosto della sofferenza di una 'rivolta naturale', come se la natura di Marcos si ribellasse contro di lui e contro la colpa di cui si era macchiato. L'altro spunto, di natura visiva, è un'idea molto semplice. Durante l'estate del 2002, mi trovavo in Messico, in una città di provincia, vicino ad una grande cattedrale coloniale, e pioveva molto forte. Un uomo camminava a torso nudo, in trance, portando con sé una candela ed un'immagine della madonna di Guadalupe. Una visione magnifica. Ho pensato che avrei dovuto finire il mio film con questa immagine e, su questa, costruire la trama al contrario, risalendo verso l'inizio partendo dalla fine.

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Sembri molto interessato alla sperimentazione visiva ed alla combinazione di stili, incluse sequenze di stampo documentaristico.
Non penso mai allo stile a priori. Il linguaggio deve mettersi al servizio del film, mai il contrario. Partendo dalle mie sensazioni, comincio a ragionare su quale possa essere il modo migliore di girare ogni inquadratura. Mi sento libero di filmare come sento sia giusto. E' fondamentale, però, mantenere una coerenza linguistica all'interno di ogni sequenza, non passo mai brutalmente da un'inquadratura a macchina fissa ad un immagine di stile documentaristico.

Giochi tantissimo con le variazioni del volume della colonna sonora.
Il film racconta un conflitto interiore. All'esterno ci sono tutte le sovrastrutture che ci siamo costruiti (le società, la Storia, lo Stato, la legge, gli spettacoli come il calcio, la religione.), che ci circondano, e che si suppone debbano aiutarci a vivere meglio. Ma la realtà è che non sono di alcuna utilità per il vero conflitto che si svolge dentro di noi. Le musiche rappresentano il mondo esterno. Sono dunque molto forti ed esercitano una grande suggestione su Marcos. Ma sono soltanto delle valvole di sfogo che non risolvono nulla. Del resto, c'è anche una sorta di silenzio, si sentono pochi rumori in strada, soltanto alcuni suoni isolati. Quindi certi suoni sono molto forti perché Marcos scivola lentamente nella follia, nella separazione da un mondo che è molto lontano, poi - bruscamente - vicinissimo ed aggressivo.

Hai affrontato il tema della solitudine interiore anche nel tuo primo film, Japon
Nel conflitto interiore si è soli, si è sempre soli da un punto di vista metafisico. Ciò che mi interessa è il perchè e il come ci si ritrovi in questo conflitto. In realtà, lo affrontiamo perchè ne siamo consapevoli, siamo coscienti, ergo, speciali ed unici. Japón era un film esistenziale con un conflitto interiore generato unicamente dal pensiero, dalle idee proprie del personaggio. Qui, il conflitto interiore è causato dall'azione, per cui i punti essenziali sono sociali e rinviano alla giustizia, al modo in cui è organizzata la città, alla comunicazione, al bisogno d'amore e al desiderio di sentirsi vicini agli altri.

Diversi passaggi restano volontariamente misteriosi.
Possono essere spiegati razionalmente, ma nel film non se ne sente il bisogno. La sequenza nella nebbia, ad esempio, sembra piuttosto mistica. Marco è molto vicino ad esplodere, poi una forza superiore lo conduce in cima ad una collina. Ma non si tratta del canto delle sirene, è assolutamente spiegabile con le condizioni metereologiche: non riusciamo a vedere più nulla, le persone smettono di lavorare, si fa silenzio e lui ha solo voglia di allontanarsi perché è un momento di pace. Per me è importante che le cose abbiano una spiegazione fisica. Ma grazie al luogo in cui accadono, al momento ed alla situazione, questi elementi assumono un significato quasi mistico, misterioso o simbolico. Il film deve lasciare spazio all'interpretazione perchè non si tratta di propaganda, come la maggior parte di film con i loro messaggi unilaterali che non lasciano traccia una volta finiti. Preferisco che il mio film non esista in questo modo durante la proiezione, ma che possa avere significato al di fuori dello schermo e soprattutto dopo.

Ti ha colpito lo scandalo destatosi dopo la proiezione al festival di Cannes ?
Mi ha sorpreso che si sia detto che era il film della 'Fellatio'. Non l'ho fatto per provocare, sapevo che mi avrebbero trattato così, ma era il prezzo da pagare per restare fedele alla mia visione del film. Ad un certo punto ho pensato di eliminare le scene dell'inizio e della fine, ma non posso ingannare me stesso, auto-censurandomi. Non si è abituati a vedere scene come quelle d'amore tra Marcos e sua moglie. E' come se in Iran si vedessero in televisione film con gente in costume da bagno.

Quali sono i tuoi punti di riferimento cinematografici?
Amo Eizenstein ed il suo utilizzo della musica, Ozu per il particolare che diviene universale, Dreyer (soprattutto i suoi ultimi film) per il modo in cui usa la luce, alcuni film di Abel Ferrara, i film degli anni 50-60 dello spagnolo Luis Garcia Berlanga, Antonioni, Kiarostami prima del digitale, i film del dopo guerra di Rossellini...

Come mai Batalla en el cielo è diventato una co-produzione maggioritaria europea?
Philippe Bober ha venduto Japón ed abbiamo deciso di produrre questo film insieme, lui si sarebbe occupato dell'Europa, io del Messico. Ha trovato dei finanziamenti molto buoni. E' magnifico che un paese come la Francia attraverso il 'Fonds Sud' e con Arté possa finanziare qualcosa di non europeo. Questo forse dà fastidio a qualcuno di strette vedute, ma la Francia può andar fiera di questa generosità, perché siamo tutti esseri umani.

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