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Thomas Clay • Regista

The Great Ecstasy of Robert Carmichael

di 

- Solo una storia di violenza?

Difficilmente chi abbia visto il film d’esordio di Thomas Clay, The Great Ecstasy of Robert Carmichael potrà dimenticarlo in fretta. I più si soffermeranno sulla sua violenza esplicita (Variety lo ha definito “Un’Arancia meccanica camuffato da video di Britney Spears”), ma c’è molto di più dietro quest’opera prima, visivamente molto forte e provocatoria. Clay ha studiato la produzione di film in 16 mm alla CFU di Londra ed ha collaborato con lo scrittore e produttore Joseph Lang su diversi cortometraggi prima di realizzare il film scandalo del festival di Cannes dello scorso anno, dove ebbe la sua anteprima mondiale. The Great Ecstasy of Robert Carmichael sarà anche a Rotterdam nella sezione Passioni e Promesse dell’European Film Promotion.

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Cineuropa: Il film ha uno stile visivo molto originale, qualcosa che si trova di rado nelle opere prime. Come è nato e quanto è frutto della collaborazione con il resto della troupe o del tuo esclusivo lavoro personale?
Thomas Clay: Credo che una solida impostazione della messa in scena sia fondamentale per esprimersi al massimo attraverso questo mezzo. Cerco costantemente di approfondire la mia conoscenza della storia del cinema e da questa traggo ispirazione e forma per le mie idee. Nella realizzazione di Carmichael, sono stato piuttosto esigente, soprattutto sulla scelta delle inquadrature, delle lenti e della coreografia. Le luci sono il territorio in cui il mio direttore della fotografia, Yorgos Arvanitis, dopo aver discusso con me il film, può veramente esprimersi pienamente. Volevo che la scenografia ed i costumi avessero un sapore realistico, in contrasto con gli altri aspetti del design visivo. Le uniche eccezioni sono state l’appartamento del commerciante ed il salotto del cuoco, che dovevano avere una qualità più teatrale e che sono state disegnate secondo le necessità di queste scene.

Chi ha visto il tuo film è colpito soprattutto della violenza degli ultimi venti minuti, quasi ignorando tutto il resto. Sei d’accordo nel dire che probabilmente la catarsi sanguinaria del finale è necessaria a concludere ciò che è accaduto in precedenza?
La maggior parte dei film contemporanei cerca di rassicurare il pubblico e di rafforzare la fiducia degli spettatori nell’innata virtù dell’essere umano. Altre volte, la violenza è ritratta in contesti così astratti da risultare completamente priva di significato. Credo che ciò che fa sentire la gente a disagio in Carmichael sia la contestualizzazione della violenza: accettare che Robert, un personaggio simpatico e piacevole per tutto il film, un uomo come tanti, che potremmo incontrare sulla strada di casa, possa commettere un atto simile, costringe lo spettatore a porsi una serie di domande scomode. Ma questa è esattamente la ragione per cui il film doveva finire in questo modo. Certamente le sue azioni sono una conseguenza di quanto accaduto in precedenza. La fine sarebbe senza senso se la si vedesse al di fuori del suo contesto. Robert agisce, forse in senso metaforico, secondo quanto gli è accaduto durante il film.

The Great Ecstasy non è un film particolarmente ‘allegro’ per gli spettatori, e l’arte (in questo caso la musica) sembra lasciare Robert completamente indifferente. Credi che l’arte (e soprattutto il cinema) possa avere il compito di scuotere le persone e costringerle a guardare con attenzione certi aspetti della vita?
Non sono certo che si possa razionalizzare il bisogno umano di arte, anche se, persino nel caso in cui nessuno si nutrisse di cinema, si potrebbe comunque dire che i film assolvono ad una precisa funzione sociale. In Carmichael, Robert non è affatto toccato dalla musica che suona, e questo fa parte della sua vacuità in quanto essere umano. Personalmente, posso uscire di buon umore anche dal film più pessimista, sempre che sia un’opera onesta, creativa e non furba.

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