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Alanté Kavaïté • Regista

Fissures

di 

Nata in Lituania, Alanté Kavaïté debutta nel 1992 come attrice in Jazz di Raimundas Banionis. Si trasferisce in Francia per studiare alla scuola nazionale di Arts Plastiques di Avignone, poi all'istituto di Beaux-Arts a Parigi, prima di cominciare a montare documentari (tra cui due di Pavel Lounguine). Coregista nel 2001 di Boris Eltsine, l’enfance d’un chef, mette in scena, nel 2002, il suo primo cortometraggio di finzione La carpe. Prodotto da Les Films d'Antoine, Fissures [+leggi anche:
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scheda film
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, il suo primo lungometraggio, è stato selezionato in competizione, nel novembre 2006, all'AFI Fest di Los Angeles, e ha partecipato al programma A Rendez.Vous with French Cinema organizzato alla fine di marzo 2007, a Londra, da Unifrance. Distribuito dal 6 giugno in Francia, il film uscirà il 17 agosto in Inghilterra.

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Cineuropa: Perché ha mescolato in Fissures generi così diversi, quali dramma psicologico, inchiesta poliziesca e fantastico?
Alanté Kavaïté: Anzitutto ho scelto un soggetto poco trattato e un po' tabù: il lutto e il rapporto madre-figlia. Scavando nel mio vissuto mi sono accorta che quello che mi mancava delle persone care perdute erano le loro voci. Sono quindi arrivata alla storia di una giovane donna che passa vicino alla madre e che riascoltandone il passato riesce a costruirsi. Una volta trovata questa componente fantastica dei suoni del passato, bisognava inventare un dispositivo per rinchiudere il personaggio principale nel tempo. Di qui l'inchiesta poliziesca, che mi è servita a lavorare davanti al tema della colpa. Perché la morte violenta della madre e il mistero intorno all'assassinio scuotono profondamente il personaggio della figlia, la costringono ad aprire gli occhi, ad ascoltare quello che se dice al riguardo e a subire gli sguardi della gente del paese. D'altronde bisognava trattare il film in uno tono molto realista, giustamente perché lo spettatore possa credere a questo fenomeno sovrannaturale. La mia intenzione era quella di rompere i codici dei generi, di proibirmi gli effetti speciali (o di renderli visibili) e gli effetti sonori... Si arriva ad un mix piuttosto strano, che non rispetta davvero i codici di un genere o dell'altro.

Perché scegliere la belga Emile Dequenne (premio per la migliore interpretazione femminile, a Cannes, nel 1999) per il ruolo di protagonista?
Ho scritto il film per lei. L'ho vista la prima volta in Rosetta e ho seguito tutto il suo lavoro, anche nei ruoli minori. Mi ha sempre impressionata per la finezza del suo tono. Nel mio film parla poco, quindi era necessaria una grande intensità. Non interpretare, ma vivere il ruolo, tradurre molte emozioni interiori semplicemente con il suo volto e il suo sguardo.

Un film francese per una regista di origine lituana. Come vive questa doppia cultura? Il sistema di finanziamento in Francia è eccezionale. È straordinario che ci sia spazio per film che non sono incanalati in un format. Ho potuto beneficiare di un piccolo budget (2,09 milioni di euro) ma il finanziamento è arrivato abbastanza rapidamente, per essere il primo film, grazie all'Anticipo sull'incasso (Avance sur recette) del Centre National de la Cinématographie (CNC), che mi ha aperto molte porte. La Francia è la mia patria d'adozione, ma mi sento completamente integrata. Tuttavia la Lituania influenza sicuramente qualche aspetto della mia sensibilità: l'attrazione verso la foresta, la natura. La Lituania è anche stato l'ultimo paese cristianizzato in Europa, quindi le credenze pagane sono ancora presenti in essa.

Quali cineasti apprezza?
I primi film che mi hanno fatto capire che il cinema era qualcosa in più di un divertimento (i miei genitori lo consideravano un'arte minore) sono stati quelli di Buñuel. Ma mi piace molto anche Arrabal (in particolare Viva la muerte), i fratelli Dardenne, e pure Iñarritu.

Tradotto da Anna Castellari

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