Locarno: le paure italiane sul videofonino di Pippo Delbono
Chi ha paura di Pippo Delbono? L’ultimo film di quest’uomo di teatro “prestato” al cinema, appunto La paura (prima c’erano stati Guerra, girato durante una tournée in Israele e Palestina, e l’autobiografico Grido [+leggi anche:
trailer
scheda film]), è un documentario-pamphlet sperimentale realizzato interamente con un videofonino (“una videocamera che si fa prolungamento della mia mano”).
Presentato fuori concorso al Festival di Locarno (che a Delbono ha dedicato un’intera retrospettiva), il film – commissionato del Forum des Images di Parigi e finanziato dalla francese Les Films d’Ici – non ha trovato ancora una distribuzione in Italia, forse perché il Belpaese (o ciò che ne resta) non ci fa una gran bella figura, dipinto come una selva oscura attanagliata da stupidità, odio, rigurgiti xenofobi: e paura, ovunque.
Muovendosi tra privato (la propria pancia che “dialoga” con le trasmissioni tv contro l’obesità infantile, animate da medici obesi che consigliano ai bambini di fare sport) e pubblico (la partecipazione ai funerali del giovane Abdul Abba, ucciso a Milano per aver rubato un pacco di biscotti, celebrati nell’indifferenza di Chiesa, istituzioni e società civile), Delbono mostra i sintomi di una società in crisi: “All’estero mi chiedono spesso cosa stia succedendo in Italia, e questo è proprio il filo conduttore del film”.
L’indignazione è sincera (“questo è un paese di merda, razzista e fascista”, urla Delbono alle esequie d’Abdul, nell’incredulità di un carabiniere che sembra uscito da una commedia all’italiana), ma i bersagli – tanti quelli colpiti, dalla caccia allo straniero all’indifferenza per i senzatetto agli angoli delle strade – a volte sono un po’ facili: perché scomodare l’invettiva dantesca (“Ahi serva Italia, di dolore ostello/ nave sanza nocchiere in gran tempesta/ non donna di province, ma bordello!”) per le immagini della Corrida televisiva? C’è molto di peggio: nel Paese, e sul piccolo schermo.
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