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VENEZIA 2009 Concorso / Francia

Claire Denis torna in Africa con White Material

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Paradossi dei festival: l’anno scorso Claire Denis (un’habitué del Lido) portava qui a Venezia 35 Rhums [+leggi anche:
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, film molto applaudito, e tra i suoi più felici, che in tanti avrebbero visto volentieri – e giustamente – vincitore del Leone d’oro. Peccato che fosse fuori concorso. Un anno dopo, l’autrice presenta alla Mostra, stavolta in competizione, un titolo meno riuscito, White Material [+leggi anche:
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, che ha lasciato in rispettoso (ma freddo) silenzio la platea dei quotidianisti.

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Fedele ai propri temi, l’autrice francese torna in Africa, manifestando di nuovo il legame speciale che la lega al continente dov’è cresciuta, e continuando a indagare complesse dinamiche familiari: siamo in un Paese innominato (il “suo” Camerun, ma i recenti fatti di cronaca lo apparentano anche al Gabon), dove l’esercito regolare si appresta a ristabile l’ordine turbato dalle azioni dei guerriglieri ribelli guidati dal “Pugile”. Qui, mentre le ambasciate evacuano i rispettivi cittadini, una donna fiera e determinata (Isabelle Huppert, di nuovo latifondista in terra straniera dopo Un barrage contre le Pacifique [+leggi anche:
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) si ostina a restare al proprio posto, folle nel proprio attaccamento ad una terra dove i Vials – il suocero e l’ex marito (quest’ultimo interpretato da Christophe Lambert) – coltivano il caffè da due generazioni.

Lontana da un’idea di cinema civile didascalico ed elementare, Denis non vuole descrivere tanto le piaghe che affliggono il Continente Nero (anche se la tragedia dei bambini soldato emerge con chiarezza), quanto il legame indissolubile che unisce una “colonialista” ad un Paese che la rifiuta, e con lei (o forse più di lei) rifiuta il figlio, estraneo seppur nato e vissuto sempre in Africa. Ma proprio il personaggio del figlio, che pure aspirava a essere la chiave di volta del racconto col suo ribellismo postadolescenziale diviso tra due culture e pronto a imbracciare le armi, si rivela (per certe evoluzioni caratteriali repentine, ai limiti della spericolatezza) una delle debolezze del film: come se l’esattezza del dettaglio psicologico di 35 Rhums lasciasse il posto a personaggi troppo costruiti, schiavi di tesi da dimostrare.

Nato dall’idea di adattare il romanzo "The Grass is Singing" di Doris Lessing (progetto caro alla Huppert come alla Denis), il film – sceneggiato dalla regista con l’esordiente Marie N'Diaye – si è convertito presto in una storia insieme attuale e atemporale, dove riecheggiano comunque le pagine della scrittrice premio Nobel, e persino le esperienze del fratello della Lessing, che proprio come la protagonista del film continuò – contro il parere di tutti – a fare il coltivatore in Rhodesia, anche quando la sicurezza avrebbe suggerito di abbandonare il Paese.

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