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BERLINALE 2010 Panorama / Germania

When We Leave, una tragedia al di qua e al di là del Mar Nero

di 

La sezione Panorama della Berlinale ha presentato quest'anno un'opra prima tedesca, When We Leave [+leggi anche:
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di Feo Aladag, d'una bellezza e d'una maestria tali che il titolo avrebbe potuto comprensibilmente essere inserito in concorso.

All'inizio del film si capisce dalla decisione di abortire della bella Umay, nonostante il suo immenso istinto materno, che siamo in presenza di una eroina che si fa violenza per rompere con il ruolo che gli viene assegnato dalla sua cultura d'origine, una rottura che passa attraverso parecchie separazioni.

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Così la pellicola segue il travagliato percorso della giovane, benissimo interpretata da Sibel Kekilli (che già si ribellava alle tradizioni turche ne La sposa turca - Head-On di Fatih Akin) a partire dal momento in cui lascia Istanbul per proteggere i suoi figli dai colpi di un marito al quale ella stessa non riesce più a restare sottomessa e ritorna con la sua famiglia, emigrata in Germania (un percorso che Akin fa in senso inverso con The Edge of Heaven [+leggi anche:
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).

Purtroppo, anche a in seno alla famiglia le cose non vanno facilmente, visto che la ribellione della giovane donna, per quanto sobria e contenuta, è vista dal padre e dal più violento dei fratelli come un'onta per tutti. "Se solo tu fossi stata un ragazzo" le dice il padre, che a malincuore obbedisce all'imperativo categorico delle tradizioni ma non ha altra scelta, come gli altri, compresi gli alleati di Umay, come la madre e la sorella.

Umay si ritrova dunque obbligata a fuggire, di nuovo, suo malgrado, per evitare rappresaglie e la violenza degli uomini della sua famiglia e risparmiare loro la vergogna nei confronti della comunità Nel centro d'accoglienza per le donne maltrattate dove trova un momentaneo rifugio, Umay si ritrova sola, privata dell'amore dei suoi, e lo spettatore, turbato dal viso calmo e puro di madonna della giovane, sul quale si sofferma lungamente la macchina da presa, e dagli sguardi di infinita dolcezza rivolti al suo bambino, partecipa naturalmente al suo smarrimento. Poiché il ritratto di questa famiglia turco-tedesca non è manicheo e non esente da tenerezza, speriamo come Umay che tra la comunità e lei, sarà lei che la famiglia sceglierà. La sua determinazione a proteggere i suoi figli non ha eguali se non nella perseveranza con la quale ella continua a tentare in vano di riannodare i fili spezzati. Quello che Umay sceglie è il diritto di poter scegliere, di andare contro la docilità e l'accettazione cieca delle regole attorno alle quali la sua famiglia si raccoglie ("le cose non sono sempre come le vogliamo" dice la madre rassegnata) e di seguire il suo cuore.

La regista sottolinea qui l'assurdità di una scelta che una persona neanche dovrebbe fare e, allo stesso tempo, ne indica l'irrevocabilità. Lo spettatore realizza così, dopo aver tanto sperato per Umay, che il film è più una tragedia vera che la storia di un'emancipazione, e che la madre sola contro il mondo di inizio film finisce per andarsene sempre sola, col suo bambino in braccio. Non c'è qui un "altro lato", il destino di una sposa turca è lo stesso da una parte e dall'altra del Mar Nero.

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(Tradotto dal francese)

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