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FESTIVAL Italia

A Torino l’Europa GLBT

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Lo stato di salute del cinema “gay, lesbico, bisex e transgender” in Italia? “Mediocre”, secondo Fabio Bo: il critico cinematografico, che per il primo anno guida la commissione di selezione del Torino GLBT Film Festival, in corso fino al 22 aprile, non ha dubbi. “La produzione è sconfortante. I film militanti non esistono, e i temi gltb sono affrontati con scarsa convinzione, tanto dal cinema di fiction – se si esclude la punta di diamante di Ozpetek, commercialmente fortunato, e poche piccole o medie produzioni come Un altro pianeta [+leggi anche:
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– quanto dal documentario, che se possibile versa in condizioni ancora peggiori”.

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Il risultato è che a giocare in casa, in concorso qui a Torino, è soltanto La capretta di Chagall, ironico corto di Silvia Novelli prodotto dal gruppo BADhOLE (lo stesso di Guerra e Pacs), mentre i pinguini Gus & Waldo (protagonisti cinque brevissimi sketch, molto applauditi) sono disegnati sì da un italiano, il genovese Massimo Fenati, ma che da quindici anni vive e lavora a Londra.

Nulla di paragonabile al resto del mondo, dunque: lo zoccolo duro resta quello di alcune cinematografie da sempre molto attente, in primis la Spagna, che – continua Bo – ha un problema opposto a quello italiano, “un florilegio di opere a tematica omosessuale (noi abbiamo scelto El cónsul de Sodoma in concorso, e fuori gara Tú eliges e Madre Amadísima), corti, doc e lunghi talvolta notevoli, che devono confrontarsi con una tradizione in cui giganteggia Almodóvar”. Non a caso, forse, l’autrice di Tú eliges – il più debitore di certi topoi del “maestro” – è Antonia San Juan, indimenticata Agrado di Tutto su mia madre.

Tra i temi ricorrenti, l’AIDS, “che oggi non è più vissuto come la tragedia epocale che ha fatto nascere opere altrettanto epocali, come Jeffrey o Poison, per citare 2 titoli inseriti nella retrospettiva sui 25 film che ci hanno cambiato la vita”. Piuttosto resta a latere (El cónsul de Sodoma), ma almeno in un caso diventa centrale, nel lussemburghese The House of Boys [+leggi anche:
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di Jean-Claude Schlim, scelto per “come mostra la spensieratezza degli anni ’80, per poi virare dalla commedia al dramma, attraverso il trauma della malattia”.

Un film “sulla memoria”, quello di Schlim, che intercetta un bisogno di ricordare e di riflettere sul passato, di cui a Torino si è molto discusso. Merito soprattutto de L’arbre et la forêt [+leggi anche:
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, degli habitué del festival Olivier Ducastel e Jacques Martineau, il film più maturo del concorso, storia di un segreto di famiglia finalmente svelato che è capace di parlare ad una platea più vasta di quella che abitualmente frequenta gli appuntamenti gltb. Platee a cui invece sembrano riservati alcuni titoli che stentano a trovare la via delle sale persino in patria (J'ai rêvé sous l'eau di Hormoz è uscito in Francia direttamente in dvd): “Per questo un festival come il nostro è importante: perché permette di vedere film che altrimenti sarebbe difficile, se non impossibile, trovare”.

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