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VENEZIA 2010 Concorso / FR-IL-IT-IND

Miral, un inno alla tolleranza

di 

Se c'è una cosa invidiabile degli statunitensi è il coraggio di buttarsi nelle avventure senza farsi tante domande. Per molti è il loro limite. Julian Schnabel, pittore newyorkese le cui pennellate aggressive e vigorose sulla superfice della tela hanno raggiunto anche gli 800.000 dollari di quotazione, da regista cinematografico ci ha regalato nel 2007 il commovente La farfalla e lo scafandro [+leggi anche:
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, tratto dal libro di Jean-Dominique Bauby (premio per miglior regista al Festival di Cannes). Miral [+leggi anche:
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, selezionato in Concorso a Venezia, scaturisce invece dall'incontro con la giornalista palestinese Rula Jebreal, autrice di un libro intitolato "La strada dei fiori di Miral" e dalla coproduzione franco-israelo-italo-indiana tra Pathé, la Eagle Pictures di Tarak Ben Ammar e Take One. Schnabel, come ha affermato nell'incontro con la stampa dopo la proiezione, ha sentito "l'esigenza, da ebreo" di raccontare la storia di questa ragazzina palestinese di Gerusalemme (interpretata dall'indiana Frida Pinto, in rapida ascesa dopo il premio Oscar The Millionaire [+leggi anche:
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) che riesce a riscattarsi dall'inferno del conflitto arabo-israeliano grazie alla protezione e all'istruzione ricevuta nell'orfanotrofio di Hind Husseini (Hiam Abbas).

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Con la sua consueta regia fatta di inquadrature oblique, movimenti con la macchina a mano, una fotografia drammatizzata dai colori saturati, Schnabel si addentra nei meandri della Gerusalemme martoriata del 1948, spingendosi attraverso gli anni fino ai mai rispettati "accordi di Oslo" del 1993. Vediamo Hind Husseini raccogliere per strada 55 orfani sfuggiti alle bombe, che diventeranno presto 2000, tutti ospitati nella sua grande casa trasformatasi nell'Istituto Al-Tifl Al -arabi. Trent'anni dopo, una bambina di 7 anni, Miral, viene affidata dal padre alle cure di Hind. Cresciuta al riparo dal conflitto, Miral "scopre" a 17 anni di essere un'araba con cittadinanza israeliana. Siamo in piena Intifada e la giovane non sfugge al richiamo della lotta che i giovani palestinesi stanno conducendo a colpi di pietre e di attentati.

La sceneggiatura firmata dalla stessa Rula Jebreal è appassionata ma inesperta: una certa confusione sui piani temporali, semplificazioni eccessive per un pubblico poco avvezzo agli avvenimenti storici di quegli anni, tanti cliché e il solito illogico passaggio dall'arabo all'inglese (paradossalmente, i palestinesi parlano in arabo tra di loro nella prima parte del film e in inglese con un forte accento arabo dopo l'apparizione, nella seconda parte, della protagonista Frida Pinto).

L'intento del film, dedicato a tutti coloro che, da entrambi le parti, credono che la pace sia possibile, è nobilissimo e sincero, un vero inno alla tolleranza, e ci spiega che si può insegnare il pacifismo mentre tutto crolla intorno, ma allo stesso tempo propende decisamente per una parte, mostrando - con una sola simbolica eccezione - gli israeliani come i "bad guys" della situazione. Con ingenuità disarmante, l'atto terroristico viene liquidato con una semplice frase.

Il cinema (l'arte) è certamente un atto politico ma il territorio della politica al cinema  è cosparso di mine pronte ad esplodere e che non si possono disinnescare con il  ricorso all'estetizzazione. Un film reclama ed esige maggiore coinvolgimento emotivo dello spettatore.

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