Elefante blanco: dov'è Dio nelle bidonville?
- Due preti militanti alle prese con la povertà, le gang, la polizia, i soldi e i dubbi spirituali. Un thriller social-realista efficace
Grande habitué della Selezione Ufficiale del Festival di Cannes (due volte al Certain Regard con El Bonaerense [+leggi anche:
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scheda film] nel 2002 e Carancho [+leggi anche:
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scheda film] nel 2010, e in concorso nel 2008 con Leonera), l’argentino Pablo Trapero mostra nuovamente il suo stile social-realista impegnato e "virile" con Elefante blanco [+leggi anche:
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scheda film], presentato oggi al Certain Regard. Prodotto dagli spagnoli di Morena Films, gli argentini di Matanza Cine e di Patagonik, e i francesi di Full House, il lungometraggio tratta il tema del ruolo dei preti nelle bidonville, una trentina d'anni dopo il Movimento attivista dei preti per il Terzo Mondo. Uno dei suoi membri emblematici, Carlos Múgica (assassinato nel 1974 da uno squadrone della morte al soldo del governo argentino) è citato esplicitamente nel film.
Aprendosi all'insegna della malattia con una tac al cervello per Julian (la star argentina Ricardo Darín) successiva a un massacro paramilitare avvenuto in un villaggio della giungla ("Bruciate tutto!") da cui si salva Nicolas (il belga Jérémie Renier), il film vede due uomini, che sono in realtà due preti, unire le loro forze nella "bidonville della Vergine", nella banlieue di Buenos Aires. Vi si ammassano circa 30mila persone e i religiosi tentano di portare a termine un progetto di costruzione di un ospedale soprannominato "Elefante bianco", lanciato nel 1937 e più volte interrotto.
Aiutati dall’assistente sociale Luciana (Martina Gusman, moglie del regista), Julian e Nicolas, molto ben inseriti nella popolazione locale, assolvono al loro compito spirituale facendo sia da motore che da intermediari (tra sindaco e vescovi) per assicurare il "cash flow" necessario al progetto (i cui lavori sono in corso), e fungono anche da infermieri, da insegnanti e da pacieri tra le gang di spacciatori che si contendono il territorio. Ma i due preti devono affrontare anche una crisi di vocazione, l'uno indebolito dalla sua malattia (tenuta segreta), l'altro lanciatosi in un'avventura con Luciana. Fino a che punto possono essere coinvolti come preti nell'azione sociale? E' la questione cruciale e pericolosa posta nel film, in un ambiente fatto di fucilate, bambini che fumano il "paco", poliziotti infiltrati e interventi dei reparti anti-sommossa.
Cogliendo alla perfezione la realtà della vita nella bidonville, Pablo Trapero avanza nella narrazione come un bulldozer, creando un clima molto efficace da thriller documentario (bellissima è la sequenza in un laboratorio clandestino di droga). Il suo senso della regia offre anche superbe scene notturne e sensazioni intense, molto fisiche, senza che ci sia mai abuso di violenza. Malgrado una sceneggiatura un po' semplicistica che non dà agli attori la possibilità di esprimere la profondità dei personaggi, Elefante blanco riesce a far passare con decisione il suo messaggio: "E' più difficile lavorare tutti i giorni che essere un eroe".
(Tradotto dal francese)