Paura, malattia e coraggio in Vita da non morire mai
- Il documentario di Silvana Maja, presentato al Festival del cinema europeo di Lecce, è una cronaca al contempo dolorosa e leggera di tre donne in lotta contro il cancro
In che modo è opportuno parlare di malattia al cinema? Fino a che punto può spingersi la testimonianza della degenerazione fisica e del dolore intimo, lacerante, di chi lotta contro il cancro e la morte? Viene da chiederselo guardando il documentario di Silvana Maja (foto), Vita da non morire mai, presentato in anteprima al Festival del cinema europeo di Lecce (8-13 aprile) nella sezione Cinema e Realtà.
Tre donne raccontano la loro lotta contro il cancro e si mettono a nudo, nel vero senso della parola, davanti alla videocamera della regista. Mostrano i loro corpi mutilati, martoriati dagli aghi, le macchie sulla pelle, le teste senza capelli. Un pugno nello stomaco.
Ma Francesca, Silvana e Carla non sono, per l'autrice, tre donne qualsiasi: una è una sua cara amica, l'altra è la sua produttrice, l'altra ancora è sua sorella. Insieme, le quattro donne si prendono per mano e fanno un percorso che parte dal 2009 e arriva al 2012, l'epilogo non sempre è felice. Lungo questa strada, c'è la paura, la sofferenza fisica, l'incertezza, il ricordo del passato, ma anche tanta ironia.
"Ho raccolto queste storie con leggerezza perché volevo testimoniare la volontà di vita di queste donne", ha spiegato Maja, "tra noi c'era fiducia e affetto". Francesca, in particolare, malata terminale, di fiducia e affetto doveva averne molta per arrivare a mostrare così, senza filtri, il suo corpo divorato dal cancro, riuscendo persino a sorridere. "Amava farsi riprendere", racconta la regista, "voleva lasciare una testimonianza".
La malattia può essere un'opportunità di trasformazione, di comprensione, di rigenerazione: questo ci comunica il film. Ma è pur sempre una cosa molto brutta, che si guarisca o no. Il tuo corpo si spezza, e il cinema del reale è lì per raccontarlo.
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