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FILM / RECENSIONI

The Attack

di 

- Un medico indaga su sua moglie, implicata in un attentato dinamitardo. Premio Speciale della Giuria a San Sebastian e Premio Cineuropa a Istanbul.

The Attack [+leggi anche:
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intervista: Ziad Doueiri
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, storia che procede a zig zag tra passato e presente in Israele e Cisgiordania, con l’attore arabo/israeliano Ali Suliman (Paradise Now [+leggi anche:
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), è diretto dal direttore della fotografia e regista Ziad Doueiri (Lila Says) e tratto da un romanzo dalla scrittore algerino Yasmina Khadra (What the Day Owns the Night [+leggi anche:
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).

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Le numerose nazionalità della troupe sono più che adatte ad un film che potrebbe restare ancorato al conflitto arabo-israeliano, ma che, a livello più ampio, è una più generale riflessione su confini e frontiere: alcuni fisici, altri tra le emozioni o le menti delle persone.

The Attack è la storia di un chirurgo israeliano/arabo, Amin Jaafari (Suliman), la cui moglie Siham (l’israeliana Reymond Amsalem), araba cristiana fedele e innamorata, muore in un attacco kamikaze in Israele.

Jaafari, che si ritiene uomo di scienza, è un esempio (sin troppo raro) di arabo integrato e rispettato in Israele. Il film lo vede anche ricevere un premio per il suo lavoro dai colleghi israeliani all’inizio del film, incombenza che gli impedisce di rispondere a quella che sarà l’ultima chiamata di Siham.

Dopo l’attacco del titolo, Jaafari, che lavora in un ospedale di Tel Aviv, è così impegnato dall’arrivo dei pazienti colpiti dalla bomba da non comprendere (o è un caso di autocensura?) che la moglie è fra i morti, fino a quando non gli viene richiesto di identificarne il corpo la sera. Quello che gli dicono è anche che le ferite suggerirebbero che la donna non è vittima, ma anzi lei stessa il kamikaze.

Doueiri, assistente cameraman a vari film di Tarantino prima di tornare in Medioriente dopo l’11 settembre, catapulta il razionale protagonista nell’orrendo, irrazionale e, come suggerisce il film, infinito e insolvibile conflitto arabo-israeliano, dove ogni atto di violenza dall’una o l’altra parte è causato dall’odio irriducibile fermentato da una realtà quotidiana dalla quale Jaafari, come pochissimi altri, è riuscito con successo a isolarsi e non farsi travolgere.

Le grandi questioni sulle quali il film si focalizza (oltre a quelle più ampie a livello filosofico e tematico del romanzo originale del 2005) sono di due tipi. In primo luogo, il film esplora, con un punto di vista vicino ad Amin, come il chirurgo sia riuscito a dividere la vita con una persona che si è rivelata a lui sconosciuta, e fino a che punto questo metta in dubbio la capacità di Jaafari di vivere e lavorare con persone ideologicamente, etnicamente e culturalmente lontane. L’eccellente lavoro di Suliman è di grande aiuto nel suggerire che le idee e le emozioni spesso conflittuali che Amin cerca di affrontare sembrano incomprensibili.

In secondo luogo, c’è la questione di come Siham sia arrivata alla conclusione che l’unica soluzione logica fosse sacrificare la sua vita, che Doueiri e la sua sceneggiatrice abituale Joelle Touma pongono come una sorta di misteriosa ricerca: chi l’ha influenzata e come ha avuto l’idea?

Questi elementi generano suspense e numerose rivelazioni, ma il viaggio vieta anche, occasionalmente, l’accesso ai sentimenti spesso conflittuali del protagonista: Amin si riduce ad un uomo in cerca di indizi più che di una ratio, ma con i paraocchi di chi gettato nella orrida realtà di un conflitto, si ritrova a vivere una crisi esistenziale.

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(Tradotto dall'inglese)

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