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CANNES 2014 Semaine de la Critique / Francia

FLA (Faire l'amour): dialogo tra sordi

di 

- Il regista haitiano/parigino Djinn Carrénard ha aperto la Semaine de la Critique con un film intimo e realista su personaggi messi duramente a tacere

FLA (Faire l'amour): dialogo tra sordi

Dopo l’esperienza di Donoma [+leggi anche:
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, selezionato all’ACID 2010 e noto per il suo montaggio fatto in casa (con un costo produttivo di soli 150€) e la produzione, spontanea ma ben fatta, che gli ha fatto vincere il Premio Louis Delluc al Miglior Film, l’haitiano Djinn Carrénard, residente a Parigi, ha aperto la Semaine de la Critique di Cannes con la sua opera seconda, FLA (Faire l'amour) [+leggi anche:
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, ancora una volta auto-prodotta per mantenere la stessa libertà: quella di sviluppare più che definire e rendere ogni scena una sorta di stand-alone, che spiega la durata (2 ore e 45’) del film, e include 30 di questi ‘piccoli atti’.

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Come Donoma, FLA segue tre personaggi: Ousmane, aspirante rapper, assorbito da sé ed egoista che deve affrontare l’improvvisa perdita dell’udito, Kahina, madre separata dal figlio alla nascita perché è in carcere (al posto del padre del bambino, che non ha esitato ad abbandonarla nonostante il sacrificio), e la sorella di lei Laure, hostess incontrata una sera che Ousmane convince all’inizio del film ad avere un figlio.

I tre personaggi si muovono in un universo in parte parigino in parte provinciale (la storia si svolge quasi tutta a Perpignan) mischiata qua e là con immagini di Haiti, ma nel quale il mix ricorda la periferia. E anche se diversi gradi di relazione nascono e muoiono fra loro, ognuna è isolata e separata nella propria rete di priorità, se non proprio ristrettezza di vedute  – una separazione tracciata regolarmente da immagini e suoni in qualche modo sognanti, a volte sfocati, a evocare la sensazione della vita in un acquario.

Il problema non è che i personaggi evitino di parlarsi, anzi: i dialoghi, intuitivamente semi-improvvisati, sono elementi chiave del film e contribuiscono inizialmente, ma il loro linguaggio e il contenuto, ordinario e quindi del tutto realistico, spingono lo spettatore nell’intimo dei personaggi. La sensazione di chiusura crea comunque una lieve irritazione, non solo per la frustrante assenza di comunicazione che da subito domina un dialogo senza spirito, ma soprattutto per l’aggressività che trasforma ogni conversazione in un inutile confronto tra persone che, in fin dei conti, sono superficiali. L’isolamento e il fallimento di ciascuno di loro – quella un sedicente artista a produrre vecchie canzoni, quella di Laure ad avere suo figlio e offrirgli un ambiente nel quale crescere, quelli passati e presenti di Kahina, l’anima torturata – rendono questi tre personaggi quasi odiosi agli occhi dello spettatore. La storia non mette infatti a disposizione alcun mezzo per alimentare nei loro confronti l’affetto di chi guarda (non più che per la madre delle due sorelle, sgradevole assistente sociale o il patetico produttore musicale, anche se il suo personaggio non ha tutti i torti a lamentarsi di Ousmane).

Il finale haitiano è bello, e con una voce dolce in inglese che si rimpiange di non aver sentito prima, a guidare il pubblico. Il tema dell’infanzia, mai lontana, resta sempre presente nel film ma sempre troppo discreto, per troppo tempo - è un peccato, dato il bel finale.

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(Tradotto dal francese)

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