Eden: Un viaggio nella malinconia
- Dopo la prima mondiale a Toronto, viene proiettato a San Sebastian il quarto film di Mia Hansen-Løve, che si snoda lungo vent’anni della vita di un Dj parigino.
Il quarto film di Mia Hansen-Løve, Eden [+leggi anche:
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scheda film], proiettato nella Sezione Ufficiale del festival di San Sebastian dopo la prima mondiale a Toronto, è forse il suo lavoro più soddisfacente e di sicuro il meno controllato a livello emotivo.
Snodato lungo vent’anni della vita di un Dj parigino, il film è un dramma profondo, malinconico ed elegante, ambientato nel mondo della musica elettronica.
La vicenda si apre nel 1992: Paul (Félix de Givry) è uno studente universitario che frequenta il mondo in espansione della musica elettronica parigina, e aspira a diventare Dj. Con il suo amico Stan (Hugo Conzelmann, di Something in the Air [+leggi anche:
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scheda film]) forma un duo garage (all’epoca sottogenere di spicco della musica house, il cui successo ebbe però breve durata) chiamato Cheers, e insieme cominciano a suonare nei club sulla scia dei Daft Punk, che in pochi anni divennero delle star. La Hansen-Løve, però, si concentra su quelli che non ce l’hanno fatta.
Il desiderio di Paul di fare musica e vivere da Dj di successo non è supportato a parole dall’apprensiva madre, che lo aiuta comunque finanziariamente durante le sue battaglie contro le pretese di una scena musicale in continua evoluzione, l’abuso di cocaina, la morte di un amico, e un’ampia successione di fidanzate. Tra queste, la newyorchese Julia (una sorta di semi-cameo di Greta Gerwig) e Louise (un’intensa Pauline Etienne, meglio nota per il recente ruolo in The Nun [+leggi anche:
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scheda film]), con cui avrà una lunga e complicata relazione fatta di continui tira e molla.
All’apice della loro breve popolarità, i Cheers suonano a New York; si tratta di uno dei momenti più affascinanti del film, in particolare per la scena del litigio dolorosamente realistico tra Paul e Louise, subito dopo aver fatto visita a Julia (che ora è incinta e vive con il proprio fidanzato). Ma dopo l’esibizione nella storica cornice del MoMa PS1, per il duo di Dj inizia la discesa.
Con un’empatia atipica per i suoi lavori precedenti, la Hansen-Løve esplora nel dettaglio la lotta del protagonista per riuscire a vivere di ciò che ama. Si tratta di un argomento che oggi riguarda la maggior parte dei giovani della classe media di tutt’Europa, e sebbene la regista eviti qualsiasi sentimentalismo (brutalmente ovvio, per esempio, in Goodbye First Love [+leggi anche:
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scheda film]), il lungo viaggio che intraprende con i suoi personaggi la mostra in una luce più sensibile.
Anche dopo 131 minuti, il film non sembra mai troppo tirato o indulgente. Al contrario, offre al pubblico il tempo e lo spazio mentale per conoscere bene Paul (interpretato da Givry con grande realismo e consapevolezza del personaggio) e l’universo nel quale abita. Del resto, la realtà della musica house parigina è solo lo sfondo per una storia che agli spettatori suonerà vera indipendentemente dal loro stile di vita e dai gusti musicali.
Le scenografie di Anna Falguères (Our Children [+leggi anche:
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scheda film]) e i costumi di Judy Shrewsbury (collaboratrice abituale di Claire Denis) danno vita a questo mondo con precisione meticolosa, ma il merito per l’approccio e l’espressione chiara dell’idea registica va sicuramente al direttore della fotografia Denis Lenoir (che quest’anno partecipa anche con Still Alice); la storia, complessa e ricca di dettagli, è messa insieme efficacemente dalla montatrice abituale della Hansen-Løve, Marion Monnier.
Eden è stato prodotto da CG Cinema, mentre Kinology ne cura la distribuzione internazionale.
(Tradotto dall'inglese)
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