A cambio de nada: i ragazzi del quartiere
- L’attore Daniel Guzmán mostra di aver imparato molto girando cortometraggi nella sua opera prima

Questa edizione numero 18 del Festival del cinema spagnolo di Malaga spicca per due coincidenze. La prima è che tre attori – Leticia Dolera, con Requisitos para ser una persona normal [+leggi anche:
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scheda film], Zoe Berriatúa, con Los héroes del mal (leggi la recensione e l’intervista) e Daniel Guzmán, con A cambio de nada [+leggi anche:
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intervista: Daniel Guzmán
scheda film] – debuttano come registi di lungometraggi di finzione dopo essersi misurati con il cortometraggio. La seconda è che diversi titoli – Los héroes del mal, El país del miedo [+leggi anche:
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scheda film] (di Francisco Espada, sul bullismo) e quello di cui parleremo qui, A cambio de nada – ritraggono i problemi degli adolescenti di oggi, con toni diversi, ma tutti come specchio di una società carente di affetto/comunicazione e bisognosa di una terapia urgente ed efficace se si vuole evitare che i nostri figli ne paghino le conseguenze.
Guzmán, 41 anni, ne ha impiegati dieci per metter su questo progetto in cui ha messo molte delle sue esperienze come ragazzo di quartiere madrileno. Si è assunto lui stesso il ruolo di produttore esecutivo e ha ottenuto l’appoggio di compagnie come La Competencia, Ulula Films, La Mirada Oblicua e Zircozine (di Luis Tosar, che ha un breve ma importante ruolo nel film), oltre a Telefónica Studios, Canal Sur, TVE e Canal+. Warner Bros. Spain è rimasta affascinata dal risultato e ha deciso di distribuire il film (uscirà l’8 maggio).
Perché lo merita. La pellicola, che potrebbe apparire come un telefilm di formazione da dopocena, conquista lo spettatore per i suoi meccanismi ben oliati: trasmette verità, i suoi personaggi sono credibili e i dialoghi geniali. E’ molto difficile scrivere conversazioni autentiche e al contempo agili, brillanti e divertenti, compito che Daniel Guzmán assolve con grande abilità. Anche il cast brilla per il suo fascino, magnetismo e naturalezza: sono da menzionare la nonna novantenne dello stesso regista (Antonia Guzmán) e due belle scoperte: Miguel Herrán e Antonio Bachiller.
Questi ragazzi incarnano Darío e Luismi, amici inseparabili che vivono nello stesso blocco di un sobborgo operaio. Il primo è impulsivo, donchisciottesco, proiettato in avanti; al secondo tocca essere più saggio, Sancho Panza, con i piedi per terra… fino a quando non si lascia trascinare dal suo amico. Ma la situazione a casa di Darío non è proprio idilliaca, giacché i suoi genitori sono in guerra da quando si sono separati. Fuggendo da questo ambiente ostile, il ragazzo troverà una nuova famiglia nel padrone di un negozio di moto e in un’anziana signora che recupera mobili dalla spazzatura.
Attraverso questo conflitto, costellato di umorismo folk, Guzmán avverte di come a volte gli adulti proiettino verso i figli i loro problemi e dimentichino di dar loro spazio, stima e attenzione. Lo fa con la spigliatezza narrativa che già dimostrò nel cortometraggio Sueños, con cui vinse il Goya nel 2004, e sebbene si sia visto tutto il cinema quinqui degli anni Settanta, il suo film non risulta così canaglia, bensì più vicino a Barrio di Fernando León de Aranoa: carino, piacevole, di buone intenzioni e simpatico, senza la rabbia del suo più diretto rivale in questo trio di Malaga, il suo collega Zoe Berriatúa con Los héroes del mal.
(Tradotto dallo spagnolo)
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