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BERLINALE 2017 Concorso

Félicité: un viaggio musicale attraverso il bisogno e il dolore che passa

di 

- BERLINO 2017: Il senegalese Alain Gomis torna a Berlino con il percorso di una cantante e madre-coraggio congolese che ritrova una famiglia

Félicité: un viaggio musicale attraverso il bisogno e il dolore che passa
Véro Tshanda Beya e Papi Mpaka in Félicité

Cinque anni dopo avervi presentato, in concorso, Aujourd’hui [+leggi anche:
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, percorso rituale verso la morte, il senegalese Alain Gomis torna alla Berlinale con il suo quarto lungometraggio, Félicité [+leggi anche:
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, un racconto congolese (coprodotto in Europa) la cui protagonista è una madre single messa a dura prova due volte, in una metropoli africana dove è difficile sopravvivere e i cui abitanti possono contare solo sulla propria comunità.

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Félicité (Véro Tshanda Beya) porta bene il suo nome quando canta, la sera, in un bar di Kinshasa che si lascia travolgere dalla sua energia. Di giorno, il suo sorriso da Gioconda che non lascia trapelare emozioni (c’è chi la giudica "troppo dura") resiste come può alle difficoltà del suo quotidiano di madre sola, alla necessità di contrattare su questioni di denaro e di discutere all'infinito. Quando suo figlio Samo rimane gravemente ferito in un incidente di moto, un’altra volta, ha bisogno di racimolare una notevole quantità di denaro affinché i medici acconsentano ad operarlo. Per far ciò, si barcamena tra truffatori, debitori, la disapprovazione familiare (compresa quella del padre assente di Samo) e le reticenze miste a rimprovero della comunità, come emerge dalla piccola riunione del comitato dove un collega poco incline a sprofondare ulteriormente nella miseria per salvare il figlio di Félicité sottolinea di essere sempre il primo a contribuire alle collette funebri, e non vede perché dovrebbe contribuire ora visto che Samo è ancora vivo – il che la dice lunga sui mali che lacerano questa società. Quando ha esaurito tutte le altre opzioni, la nostra madre-coraggio si rivolge persino a un "boss" spietato, ma nonostante tutti gli sforzi fatti solcando le povere strade della capitale del Congo, la gamba del figlio dovrà essere amputata. La seconda metà del film è il tempo del pianto, prima di poter ritrovare la gioia, attraverso la consapevolezza di non essere sola, grazie al sostegno costante (ma anche incondizionato, rispettoso dell’indipendenza di Félicité e della propria) di un grande ottimista di nome Tabu (Papi Mpaka) che riesce persino a farla ridere delle preoccupazioni domestiche che all’inizio la opprimevano.

Visto che la protagonista esprime poco i suoi sentimenti, al di là delle micro espressioni del suo bel volto, il racconto è inframezzato da scene oniriche rurali e serene, accompagnate da sinfonie profondamente commoventi che rappresentano il paesaggio mentale di Félicité e fanno contrasto con le immagini della città, la sua durezza e la sua costante agitazione. A dire il vero, più che un’eco, questi passaggi, così come le scene di canto della nostra volitiva eroina, fanno parte della narrazione: è il modo in cui Félicité vive la musica a dirci a che punto è del suo percorso, nella prova che racconta il film. E’ proprio questa palpabilità del cammino emozionale qui compiuto a toccare il cuore dello spettatore, mentre osserva, condividendo diversi momenti con Félicité, Samo e Tabu, la costruzione affettiva di una famiglia.

Prodotto da Andolfi con Granit Films (società co-fondata dal regista), Need Productions (Belgio), Cinekap (Senegal) e Shortcut Films (Libano), Félicité è venduto nel mondo da Jour2Fête.

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(Tradotto dal francese)

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