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BERLINALE 2018 Forum

Recensione: Mariphasa

di 

- BERLINO 2018: Il secondo film del portoghese Sandro Aguilar è un’esperienza anti-narrativa che si svolge in una versione da incubo di Lisbona

Recensione: Mariphasa

Quest’anno la sezione Forum del Festival di Berlino ha accolto la première del secondo film del regista portoghese Sandro Aguilar. Il produttore nato a Lisbona, che ha fatto il suo debutto all’IndieLisboa e al Festival di Locarno nel 2008 con Uprise [+leggi anche:
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, ha prodotto, intanto, più di dieci cortometraggi. Ciò nonostante, Aguilar che ha anche prodotto Tabu [+leggi anche:
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di Miguel Gomes, ha aspettato dieci anni per dirigere Mariphasa [+leggi anche:
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, il suo secondo film noir. Sin dall’inizio, si nota che il suo titolo enigmatico corrisponde al nome scientifico dato alla magica pianta del Tibet che ha fermato il protagonista di Werewolf of London di Stuart Walker dal trasformarsi in un lupo mannaro durante le notti di luna piena. Ma in Mariphasa, non c’è assolutamente alcuna traccia di lupi mannari, scienziati pazzi o altri elementi di film fantastici. Il film è più che altro un esperimento criptico che analizza punto per punto sia i generi classico noir che horror.

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Si potrebbe certamente pensare senza alcun problema che Mariphasa sia l’offerta più radicale al Festival di Berlino di quest’anno. Inoltre, i tre film portoghesi presentati nella sezione Forum - The Tree [+leggi anche:
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 di André Gil Mata, Our Madness [+leggi anche:
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di João Viana e Mariphasa - condividono lo stesso spirito sovversivo che guida l’essenza di tutti e tre i film verso un’astrazione narrativa, anche se il lavoro di Aguilar, prodotto da O Som e a Fúria, porta tale astrazione a un livello estremo e totalmente incomprensibile.

Prima che inizi a guardare Mariphasa, lo spettatore deve cedere e accettare che il suo meccanismo narrativo sarà semplicemente impenetrabile dall’inizio alla fine. Il film mette insieme una serie di scene e ambientazioni vuote che si succedono una ad una senza aderire a nessun tipo di ordine casuale o concettuale. Se si dovesse analizzare in maniera razionale l’esperimento di Sandro Aguilar, si potrebbe dire che i personaggi principali del suo anti-film sono due amanti, un bambino spaventato dai suoi incubi, un padre consumato dal lutto per sua figlia, morta di una morte violenta, un cacciatore che maneggia il suo fucile e un ladro che avvelena un cane. Come la maggior parte dei noir o degli horror, l’intero film di Aguilar si svolge di notte, ma i suoi personaggi (o, preferibilmente, presenze spettrali) vagano intorno a tre spazi: un edificio industriale, gli appartamenti all’interno di un unico immobile e i vicoletti tetri di Lisbona.

La frammentata mise-en-scène significa che l’essenza di questa successione di immagini senza un legame narrativo può essere trovata nella fisicità dei movimenti, o negli stessi corpi umani che li trascinano, facendo riferimento al lavoro dell’autore francese Philippe Grandrieux. Seguendo le orme di Grandrieux, Aguilar sviluppa un’atmosfera perfetta di malsano terrore, iniziando da un’azione sia pura che basica: il movimento di un essere vivente. L’eccezionale Mariphasa ci introduce in una versione infernale di Lisbona che non appartiene al mondo del cinema ma al mondo degli incubi.

Mariphasa è stato prodotto da Luís Urbano e dallo stesso Aguilar per la suddetta O Som e a Fúria.

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(Tradotto dallo spagnolo da Francesca Miriam Chiara Leonardi)

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