Recensione: After-Work Beer
di Teresa Vena
- Il regista tedesco Ben Brummer presenta un mix di commedia sull’amicizia e dramma, e il suo primo film a uscire al cinema
Dopo aver frequentato la Filmhochschule di Monaco e intrapreso una serie di progetti cinematografici (The Subtle Hunter, Soap Bohème, Figaro's Monomyth) che sono stati trasmessi dalla televisione tedesca, Ben Brummer ha lanciato il suo primo film per il grande schermo, After-Work Beer [+leggi anche:
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scheda film], in Germania.
Lo scenario chiave per l’attività del titolo è il bar di Magnus. Qui è dove il malinconico trentenne si sente più a suo agio, dietro il bancone e in presenza di una manciata di suoi clienti abituali. L’attore Tilman Strauss interpreta l’emarginato taciturno e introverso che compensa la sua mancanza di una tipica vita familiare bevendo alcol, ascoltando musica e avendo una fervente devozione per la sua macchina, una Mercedes Coupé del 1980. La sua routine, basata sulle visite al bar del suo migliore amico, il meccanico e donnaiolo Dimi, oltre alle visite dell’eccentrico Manfred, un fanatico della teoria cospiratoria interpretato da Christian Tramitz (Manitou’s Shoes, (T)Raumschiff Surprise, Bullyparade: The Movie [+leggi anche:
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scheda film]), va fuori binario quando improvvisamente la sua macchina scompare. Ma mentre questa premessa potrebbe sembrare promettente, di continuo la trama si perde in filoni narrativi marginali e abbastanza convenzionali.
After-Work Beer inizia come una descrizione accurata di un’ambiente particolare, e si trasforma in una commedia sull’amicizia e una caccia al tesoro, prima che la storia d’amore prevalga sempre di più, sottolineando così il sentimentale e affievolendo la dimensione tragicomica. La sceneggiatura è molto inconsistente, e sarebbe stata una buona idea per la trama focalizzarsi su un solo filone narrativo, il quale avrebbe intensificato il ritmo narrativo. Il dialogo è spesso troppo artificiale e sovrastimato, e molti motivi compaiono in altri film, sebbene con qualche leggera variazione. Per esempio, il tema del “barman” come intellettuale disilluso viene usato in molti film e in molti lavori letterari (vedi The Good Heart [+leggi anche:
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scheda film] di Dagur Kári o The Drop di Michaël R Roskam), il che rende difficile avere nuove idee.
Uno dei tratti distintivi del film è l’atmosfera che tira fuori, che è stata realizzata attraverso uno scenario creato in maniera meticolosa e la scelta della musica, come le canzoni blues del compositore e cantante Dr Will che enfatizzano la malinconia del protagonista. Ma è la mise-en-scène a rivelare le capacità di Ben Brummer, e questo vale anche per il modo sofisticato in cui compone le immagini, in maniera professionale giocando con luci e ombre, come se fosse un film noir. Inoltre il film vanta un cast davvero convincente, soprattutto Tilman Strauss nel ruolo di Magnus, ma anche Johann Jürgens nel ruolo di Dimi e soprattutto James Newton nel ruolo di Bene.
Un elemento intrigante che appare sin dall’inizio è la macchina, che funge da oggetto feticcio che evoca e contiene contemporaneamente le emozioni di Magnus. Si sente a suo agio lì dentro ed è come se sostituisse il suo bisogno di relazioni interpersonali che finora l’hanno solamente deluso. La macchina funge anche da vaso di Pandora: finché resta chiusa, il suo contenuto è al sicuro. Quando la macchina viene rubata, Magnus perde l’autocontrollo. Il veicolo è anche in un certo senso una proiezione della sua identità che non riesce a controllare dopo il furto. La ricerca della sua macchina lo riporta nel passato, facendolo confrontare con le sue frustrazioni represse e infine permettendogli di fare ammenda per i suoi errori prima che osi iniziare qualcosa di nuovo. Dunque After-Work Beer è anche un film su un viaggio interiore, il cui esito avrebbe potuto facilmente portare a un cambiamento più coraggioso.
After-Work Beer ha avuto la sua première al Festival di Berlino 2018. Il film è prodotto da Gaze Film e viene distribuito da One Filmverleih, che è anche responsabile delle sue vendite internazionali.
(Tradotto dall'inglese da Francesca Miriam Chiara Leonardi)