Recensione: Manu, l’homme qui ne voulait pas lâcher sa camera
- Emmanuelle Bonmariage realizza un documentario a più livelli sui percorsi della memoria di un regista – e un uomo – fuori dal comune
Col suo primo film, Manu, l'homme qui ne voulait pas lâcher sa caméra [+leggi anche:
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intervista: Emmanuelle Bonmariage
scheda film], Emmanuelle Bonmariage offre un ritratto di suo padre come cineasta, lontano dall’agiografia, ma al centro del gesto creativo del regista, alimentato dalla sua vita di uomo. Manu Bonmariage è uno dei padri spirituali di Strip-Tease, di quel cinema verità senza artifici estetici, in contatto con il reale (un reale?) e spesso con l'umanità delle piccole persone, quelle che di solito non vediamo sullo schermo. È anche l'uomo con la macchina da presa, colui che dopo aver perduto lo sguardo del bambino, non poteva che diventare un cameraman, per fare più facilmente il punto su ciò che lo circonda.
La videocamera ha un ruolo preponderante nel suo rapporto con il mondo. Quasi sempre innestata all’estremità del suo braccio (anche quando è il soggetto del film, continua a girare), gli serve come strumento di mediazione con il mondo. Una delle questioni del film ruota intorno a questa domanda: chi è l'uomo dietro, ossia quello senza la sua cinepresa?
Il film guadagna anche in profondità quando Emmanuelle prende possesso della videocamera che suo padre le affida. Manu vede gradualmente declinare la sua capacità di tenerla in mano. Per Manu sarà sicuramente il suo ultimo film. Perché non è più il regista, è l'attore. E ciò che offre a sprazzi alla sua regista è puro cinema, come quella scena davvero allucinante nelle profondità di una miniera, dove senza preavviso, si anima.
Manu non è solo il cineasta delle persone, che ha saputo filmarle con empatia e benevolenza, spazzando via ogni condiscendenza o scherno, è anche un uomo fuori dal comune, un soggetto ideale per il suo stesso cinema.
La sua opera trova giustamente un bel posto nella narrazione, la regista la integra in modo organico al suo racconto, lasciando agli estratti selezionati il tempo di esistere. Se non spiegano mai il cinema di Manu, lo fanno sentire. La scena in cui il cineasta rivisita Les Amants d'Assise con la sua montatrice dell'epoca ci chiarisce il suo posizionamento rispetto ai suoi soggetti, talvolta rimessi in discussione. L'emozione palpabile del cineasta di fronte a queste immagini vecchie di diversi decenni, davanti alla testimonianza di un uomo che esprime tutto il suo dolore davanti alla videocamera, rimanda a uno dei maggiori punti di forza del regista: non giudica mai e non condanna.
Il film è anche il teatro di una relazione padre/figlia complessa ma vivace, piena di amore e di contraddizioni. Colei che porta il nome di suo padre, che eredita la sua cinepresa, lo sceglie come il primo oggetto, o meglio soggetto della sua opera, facendo un atto di memoria e di trasmissione, tra memoria e futuro. Un po' come se, come regalo a suo padre che la sta perdendo, lei gli offrisse la sua memoria sul grande schermo.
Prodotto da Clin d’œil Films, Manu esce il 6 giugno a Bruxelles, Namur e Louvain-la-Neuve, e sarà oggetto di numerose proiezioni un po’ ovunque in Vallonia, distribuito da Sparkle Box.
(Tradotto dal francese)