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VISIONS DU RÉEL 2024

Recensione: Kamay

di 

- L'intenso documentario dei registi afghani Ilyas Yourish e Shahrokh Bikaran immerge lo spettatore nel mondo di una famiglia hazara dopo il suicidio di una delle figlie

Recensione: Kamay

Lo scrittore e regista afghano Ilyas Yourish e lo sceneggiatore e collaboratore Shahrokh Bikaran erano alla prima mondiale del loro primo lungometraggio documentario, Kamay, a Visions du Réel, dove hanno vinto il Premio della Giuria Ecumenica (leggi la notizia). Il film racconta la storia di una famiglia della minoranza Hazara dopo che una delle figlie si è suicidata nel 2017 a causa delle molestie subìte da un insegnante dell'Università di Kabul.

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Kamay si apre con un testo che racconta brevemente la storia della persecuzione del popolo Hazara dalla fine del XIX secolo. Poi ci viene presentata la famiglia, composta dai genitori cinquantenni Younes e Hawa Khawari e dai sei figli rimasti, tra cui l'adolescente Freshta, che intende iscriversi all'università e che sarà la nostra guida. Nella sua voce fuori campo, la sentiamo parlare direttamente con Zahra, sua sorella, che è stata tra i primi hazara ad accedere all'istruzione istituzionale dopo il 2001, essendosi iscritta a Veterinaria a Kabul. Parlando a bassa voce, Freshta descrive come stava scalando la montagna per trovare la pianta di kamay da inviare a Zahra per la sua ricerca, mentre la vediamo camminare in salita nella neve con un falcetto in mano.

La famiglia ha un avvocato, Zohra, e noi veniamo a conoscenza di come procede il caso solo attraverso le diverse telefonate e i pochi viaggi che Younes e Hawa fanno a Kabul. Ci vogliono giorni in un furgone sovraffollato, attraversando le montagne innevate e costellate di posti di blocco talebani, per arrivare dalla loro regione di Daykundi alla capitale. Vediamo Zohra parlare con gli studenti che hanno iniziato le proteste nel campus, chiedendo giustizia, ma sono riluttanti a salire sul banco dei testimoni.

Il film è stato girato prima del ritorno al potere dei Talebani nel 2021, ma la persecuzione degli Hazara si è intensificata intorno al 2016. I registi tuttavia scelgono di immergerci nell'incubo della famiglia piuttosto che raccontare una storia giudiziaria o politica. Questi segmenti si svolgono in parte come un documentario antropologico sullo stile di vita degli Hazara, ma i Khawari sono palesemente schiacciati dalla loro sofferenza. I registi mostrano raramente le loro lacrime, ma sentiamo pianti e lamenti nelle scene strazianti in cui finalmente ricevono gli effetti personali di Zahra.

Yourish e Bikaran creano un'immagine di grande suggestione, sfruttando elementi come le tempeste di neve e il forte vento che soffia sulla modesta casa della famiglia, insieme al sound design molto presente e rumoroso di Jonathan Vanneste, che include anche esplosioni e spari che riecheggiano in lontananza, segnalando l'avanzata dei Talebani. Il Dyakundi montuoso è un ambiente maestoso ma spietato, soprattutto in inverno, anche se il documentario, essendo stato girato nell'arco di diversi anni, ci mostra che la primavera può essere piuttosto dolce. Il paesaggio corrisponde allo stato d'animo dei protagonisti, e vediamo dettagli simbolici come il vestito insanguinato di Zahra o la sciarpa nera che si gonfia al vento.

La colonna sonora di Karim Bagilli è altrettanto presente, con i suoi archi  spesso in chiave dissonante. I registi, che sono essi stessi hazara, immergono lo spettatore nel mondo doloroso della famiglia, guidati dalla voce fuori campo di Freshta, circondati da paesaggi aspri e impregnati di dolore, frustrazione e paura per il futuro, soprattutto di Freshta. Una situazione che sembra davvero cupa, soprattutto dopo la recente notizia che i Talebani hanno ritirato la loro decisione di permettere l'istruzione alle ragazze in Afghanistan.

Kamay è una coproduzione dell'afgana Kamay Film, la belga Clin d'oeil Films, la tedesca ROW Pictures e la francese Temps Noir. CAT&Docs detiene i diritti internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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