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IL CAIRO 2018

Recensione: Méprises

di 

- Il secondo lungometraggio di finzione di Bernard Declercq è un racconto oscuro e sconcertante su una donna in uno stato d'animo fragile e con un marito prepotente

Recensione: Méprises
Moanna Ferré e Fabrizio Rongione in Méprises

Il Panorama internazionale del 40° Cairo International Film Festival ospita la proiezione del secondo lungometraggio di finzione del regista belga Bernard Declercq, Méprises [+leggi anche:
trailer
intervista: Bernard Declercq
scheda film
]
, basato sul romanzo Côté Jardin di Alain Monnier. Questo thriller utilizza una narrativa molto frammentata per dipingere il ritratto di una donna bella ma fragile, del suo opprimente e geloso marito, e di una delle tante cosiddette "farfalle" che hanno avuto la sfortuna di essere attratte dal suo fascino.

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Françoise (la veterana attrice teatrale francese Moanna Ferré) è intrappolata in un precario matrimonio con il calmo e calcolatore dottor Lepage (l’attore francese Pascal Greggory) da tre anni. La gelosia e l'amarezza sembrano essere all’ordine del giorno nella loro relazione, visto che Lepage segue sua moglie ovunque vada. Sa benissimo che lei ha avuto diverse storie, ma la sua ultima fiamma, Jacques (l’habitué dei fratelli Dardenne Fabrizio Rongione), dimostra di essere l'ultima goccia che fa traboccare il vaso: Lepage lo insegue e si vendica in modo premeditato, sinistro e francamente diabolico. 

Mentre saltiamo nel tempo, con la narrativa principale che si estende per alcuni mesi, la storia viene raccontata in modo frammentario, con il regista (che ha anche scritto la sceneggiatura) a riempire gradualmente i vuoti lasciati in precedenza. Le scene vengono riprodotte da diverse prospettive, e talvolta le sequenze vengono ripetute e poi leggermente estese per fornirci qualche briciola di informazione in più. Ciononostante, torniamo sempre nella casa della coppia, ancora e ancora, per tutto il film, che funge da ancoraggio per la storia.

Forse il fatto che il film duri poco meno di un'ora e mezza, e che molte scene si ripetano in quel breve lasso di tempo, è parte del motivo per cui i personaggi mancano di profondità, poiché non li conosciamo mai e rimangono freddi e distaccati. Ferré regala una performance decente, il suo sorriso feroce e ironico suggerisce sempre che lei sa qualcosa di vitale che noi non sappiamo, e cerca di dare vita a una donna che sembra sicura e padrona di sé, ma che in realtà è vulnerabile e molto dipendente dagli altri per avere una sensazione di stabilità. Rongione, d'altro canto, è cronicamente sottoutilizzato, dato che trascorre gran parte del film in uno stato in cui le sue capacità recitative non hanno la possibilità di brillare. Inoltre, alcuni degli incontri fisici tra i personaggi tendono a non convincere.

La fotografia di C.L. Zvonock è sontuosa e sorprendente, con il colore e il calore del mondo esterno che contrastano efficacemente con gli interni sterili e imbiancati della casa della coppia e l'ospedale in cui è tenuto Jacques. Ma sfortunatamente, l'effetto complessivo del film flirta con il territorio dei film TV, con dialoghi insignificanti e troppi piani medi. Non sembrano esserci rivelazioni importanti contenute nelle informazioni extra che riceviamo mentre ricostruiamo parti della storia, e mentre c'è un montaggio in qualche modo abile, ad opera di Oscar Dupagne e dello stesso Declercq, che fa scorrere le cose in maniera fluida, la narrativa è semplicemente non abbastanza convincente da mantenere la nostra attenzione a lungo. Come Jacques dice a Françoise mentre pescano: "Dobbiamo solo aspettare. Ti ho detto che ci vuole pazienza".

Dissonance è una produzione belga della compagnia di Bruxelles Survive Films e di Les Films du Carré di Liegi. L’uscita locale è stata curata da Athena Films la scorsa estate.

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(Tradotto dall'inglese)

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