KARLOVY VARY 2019 East of the West
Recensione: Scandinavian Silence
- Il regista estone Martti Helde crea un'esplorazione riflessiva e sfaccettata di una relazione tra fratelli e il desiderio umano di reprimere i ricordi
Dopo il suo apprezzato lungometraggio d'esordio, In the Crosswind [+leggi anche:
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intervista: Martti Helde
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scheda film] (2014), il regista estone Martti Helde torna sul grande schermo con qualcosa di più discreto, ma non meno impressionante dal punto di vista tecnico, del suo precedente lavoro. In Scandinavian Silence [+leggi anche:
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scheda film], che celebra la sua prima europea nella sezione East of the West a Karlovy Vary, l'imponente impassibilità della natura si giustappone al ristretto spettro dell'interazione umana.
Il film inizia con Tom (Reimo Sagor) che sale in macchina di sua sorella Jenna (Rea Lest). Mentre guidano attraverso paesaggi nevosi desolati, Tom inizia a parlare del loro passato e di un atto violento, le cui conseguenze sono rimaste con loro fino ad oggi. Durante il tutto, Tom è l'unico a parlare, con Jenna che ascolta quasi impassibile mentre lui rivela il dolore e le difficoltà della sua vita recente e le cose che hanno passato insieme. Dopo un po', la scena si resetta: Tom sale nuovamente in macchina di sua sorella. Ma questa volta, è Jenna che parla tutto il tempo, mentre Tom rimane muto. Le diverse scene viste da prospettive diverse non solo mostrano la ricostruzione di un passato frantumato, ma dimostrano anche come il silenzio possa portare alla distruzione quando i tormenti interiori minacciano di esplodere.
Il cinema ha avuto a che fare con la narrazione da più punti di vista sin dai tempi di Rashomon di Kurosawa, ma Helde ci mette il suo tocco unico. Come suggerisce il titolo, gran parte del film parla del non detto e di come noi esseri umani "colmiamo le lacune" con i nostri pensieri e le nostre prospettive. Se non c'è altro che il silenzio a cui rispondere, le nostre percezioni vengono filtrate solo attraverso la nostra realtà. Possiamo sperare di capire entrambi i lati di una storia solo se riusciamo a mantenere un dialogo con l’altro. Mentre in qualche modo frammenta la narrativa – per sua stessa natura, il film si ferma e riparte – l’interrogarsi di Helde sulla questione non cade mai nel regno dell’espediente facile ed è spesso affascinante.
Sia Sagor che Lest utilizzano bene il materiale, specialmente quando viene chiesto loro di recitare senza dialoghi – il che equivale a un anatema per molti attori. C'è un malcontento e una sofferenza latenti qui, ma c'è anche una misura mostrata da entrambi gli attori che elimina il pericolo che il film scivoli nel melodramma.
Dopo i tableaux pittorici di In the Crosswind, Helde e i direttori della fotografia Erik Põllumaa e Sten-Johan Lill offrono un senso di intimità, con gran parte dell'azione che si svolge all'interno dell’abitacolo di un'auto. Nonostante questi momenti angusti e claustrofobici, il film non cade mai nella teatralità grazie ad alcuni magnifiche inquadrature di un paesaggio nordico spazzato dalla neve, il tutto in un bianco e nero nitido. Questi momenti grandiosi e maestosi sottolineano l'idea del silenzio nel film, con le montagne e i fiumi sempre in movimento che si ergono come silenti osservatori degli strani capricci del comportamento umano.
La reputazione di Helde dovrebbe consentire al film, proiettato in East of the West dopo essere stato mostrato a Shanghai ed essere uscito in patria a marzo, di ottenere il suo spazio nel circuito del festival e forse anche una distribuzione in alcuni paesi.
Scandinavian Silence è prodotto da Three Brothers (Estonia) in coproduzione con ARP Sélection (Francia) e Media International (Belgio).
(Tradotto dall'inglese)
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