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FILM / RECENSIONI

Recensione: Haut les filles

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- Svelato a Cannes al Cinéma de la Plage, il documentario di François Armanet esplora la condizione delle donne e la musica attraverso le testimonianze di dieci cantanti iconiche

Recensione: Haut les filles
Jeanne Added in Haut les filles

Dagli anni '60 ad oggi, dal Manifesto delle 343 puttane che rivendicano il diritto all'aborto nel 1971 fino alla recente ondata #MeToo, la rimessa in discussione della tenuta patriarcale della società è stata condotta da donne di lunghe vedute e, come spesso accade nella storia, le artiste hanno giocato (e continuano a giocare) un ruolo simbolico importante nell'evoluzione della mentalità. È attraverso la musica "popolare" francese (al confine tra rock e canzone), mescolando la psicologia intima e le più ampie prospettive sociologiche, che François Armanet (ammirato al Panorama della Berlinale 2002 con La Bande du Drugstore) ha scelto di affrontare il tema della condizione femminile moderna nel suo documentario Haut les filles [+leggi anche:
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scheda film
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, svelato al Festival di Cannes nel programma del Cinéma de la Plage e lanciato oggi nelle sale francesi da Les Films du Losange.

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Intrecciando le testimonianze di Françoise Hardy, Vanessa Paradis, Charlotte Gainsbourg, Imany, Jeanne Added, Jehnny Beth, Camélia Jordana, Brigitte Fontaine, Lou Doillon e Elli Meideros, il regista (che ha scritto la sceneggiatura del film con Bayon) riesce a comporre con piccoli tocchi un'immagine piuttosto rivelatrice della conquista della scena musicale francese da parte delle donne ("il rock era fatto per gli uomini e dagli uomini"), ma soprattutto della percezione che hanno dei loro percorsi individuali inseriti in un più ampio panorama collettivo che tesse una solidarietà femminile invisibile e fortissima.

Fin dai loro esordi, spesso segnati dalla necessità di superare vari complessi personali (soprattutto rispetto ai canoni di bellezza femminili) e dall'importanza dell'educazione familiare, fino alla progressiva scoperta delle loro voci e al potere tellurico dei concerti (come ai comandi "di una nave che deve essere dominata in un mare selvaggio", "una strana messa senza moralità", "un luogo di libertà e di connessione più facile"), per non parlare del mal di vivere spesso all'origine di una creazione artistica liberatrice, il difficile confronto con le conseguenze della celebrità o, naturalmente, la presa di coscienza femminista ("come comportarsi di fronte alle ingiustizie legate al solo fatto di essere una donna?") che può arrivare fino all'attivismo, i racconti, le confessioni e le riflessioni (intervallate da performance sceniche) del film diventano gradualmente parte di un quadro generale che esplora il mondo, il genere e la norma.

Distillando qua e là filmati di repertorio che tracciano le lotte delle donne per i loro diritti nei decenni passati, Haut les filles mescola pensieri (da Memorie d’una ragazza perbene di Simone de Beauvoir a King Kong Théorie di Virginie Despentes) e aneddoti, interviste e concerti incandescenti, e non si limita alle sue grandi testimoni giacché il film risale fino a Edith Piaf ed evoca anche Barbara, Catherine Ringer (Les Rita Mitsuko) e Chris (Christine and The Queens). Un ricco panorama che è la forza di un documentario dove tutti possono attingere qualcosa in base alla propria sensibilità, ma che è anche il suo tallone d'Achille, presentandosi come una raccolta eterogenea la cui durata è troppo ristretta rispetto alla vastità del suo campo di indagine. Fortunatamente, il film non perde il filo e si potrebbe dire che la sua imperfezione relativa sia in ultima analisi, come nello spirito del rock, "un atteggiamento, una grande libertà, e un bel po’ d’insolenza".

Prodotto da Incognita Films, coprodotto da Arte France Cinéma e l’INA, Haut les filles è venduto nel mondo da Les Films du Losange.

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(Tradotto dal francese)

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