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BOSFORO 2019

Recensione: Marghe e sua madre

di 

- Girata in italiano in Basilicata, l’ultima opera di Mohsen Makhmalbaf è uno sguardo sulla “generazione senza tutto”, ma non ha l’urgenza delle precedenti opere del regista iraniano

Recensione: Marghe e sua madre
Margherita Pantaleo in Marghe e sua madre

Dalle strade di Teheran, alle alture dell’Afghanistan, alle rocce della Basilicata, l’inarrestabile Mohsen Makhmalbaf ripropone il suo cinema di partecipazione alla natura umana. A cinque anni da The President [+leggi anche:
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, che ha aperto la Mostra di Venezia 2014 assieme a Birdman, il 62nne maestro persiano realizza Marghe e sua madre [+leggi anche:
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, proiettato al Bosphorus International Film Festival. Girato a Matera e altre località al confine tra Basilicata e Calabria, questo piccolo film è un ulteriore spostamento degli obiettivi tematici di Makhmalbaf, che dalla critica feroce delle dittature e la decodificazione delle primavere arabe di The President passa allo sguardo sulle aberrazioni della modernità liquida e sulla “generazione senza tutto”, per dirla con le parole di Zygmunt Bauman.

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Girato in italiano in una regione che per la collisione tra attualità e tradizioni arcaiche potrebbe ricordare l’Iran o qualsiasi altro luogo in cui questo urto si fa più sentire, Marghe e sua madre è una storia di sconfitta sociale e di rinuncia ai valori identitari. Claudia e Giulia (Ylenia Galtieri e Raffaella Gallo) sono due amiche, ragazze madri giovanissime, appena 22 anni, abbandonate dai rispettivi partner e alla perenne ricerca di un lavoro per mantenere le loro figlie in una realtà che offre ben poco. Margherita, la Marghe del titolo (Margherita Pantaleo), è una bambina molto intelligente, a cui il regista di Teheran e la moglie co-sceneggiatrice Marziyeh Meshkini attribuiscono una saggezza e una capacità di ragionamento talmente spiccate da far pensare ad una figura simbolica (facilmente identificabile in una futura generazione in cui riporre le speranze). In una scena piuttosto suggestiva, Marghe sale sul campanile della chiesa di Santa Maria di Idris e suona le campane osservando una città che sembra dormiente, o peggio morta.

Cadute nella solita trappola di un finto casting per un film, Claudia e Giulia conoscono due giovani (Paolo C. Santeramo, Danilo Acinapura) che hanno il loro stesso problema, trovare un lavoro. Cercano di risolverlo con una pessima idea, rapire cagnolini per poi chiedere il riscatto. Margherita viene affidata ad una vicina di casa devotissima che si circonda di statue della Madonna, e disquisisce con gli altri bambini dell’esistenza di Dio. Il quartetto di rapitori di cani invece si ritrova presto inseguito dalle forze dell’ordine e qui c’è un ribaltamento autobiografico: durante il regno dell’odiato scià, Makhmalbaf fece parte d’un gruppo clandestino islamico e a 17 anni finì in prigione per l’attentato a un poliziotto, episodio su cui il regista baserà un delle sue opere più intense, Pane e fiore del 1996.

Il livello recitativo dei protagonisti è al minimo sindacale ma sappiamo che il ricorso a interpreti non professionisti fa parte della poetica del cinema iraniano d’autore e di Makhmalbaf in particolare, così come la sensibilità verso gli attori bambini, la riflessione sui problemi sociali della gente umile. La co-scrittura di Marziyeh Meshkini aggiunge una forte sottolineatura di “sisterhood”. Il legame morale con il neorealismo italiano rimane profondo ma in Marghe e sua madre non scorgiamo l’urgenza delle precedenti opere del regista, la drammaticità dei temi affrontati si stempera in lungaggini, situazioni artificiose, dialoghi poco credibili, e un ambiguo e poco articolato riferimento alla religione cattolica come rifugio di chi ha perso le speranze.

Il film è stato prodotto da Makhmalbaf Film House, che fa capo al figlio di Mohsen Maysam Makhmalbaf, in coproduzione con l’italiana Allelammie, la Fondazione di partecipazione Matera-Basilicata 2019 e Rai Cinema, in collaborazione con Lucana Film Commission.

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