Recensione: Trois jours et une vie
- Nicolas Boukhrief dirige un avvincente thriller di provincia, tratto dal best-seller di Pierre Lemaître, dove il confine tra innocenza e colpevolezza sfuma amaramente

L'assassino torna sempre sul luogo del delitto, anche dopo quindici anni. Così accade nel coinvolgente thriller rurale Trois jours et une vie [+leggi anche:
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scheda film] diretto da Nicolas Boukhrief e proiettato in selezione ufficiale alla 14ma Festa del Cinema di Roma. Basato sull’omonimo romanzo best-seller di Pierre Lemaître (da un suo libro era stato tratto anche il pluripremiato Au revoir là-haut [+leggi anche:
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scheda film]), il film si prende due ore per mettere in immagini questo piccolo mondo di provincia, apparentemente protetto, dove tutti si conoscono l’un l’altro e seguono i rispettivi movimenti, un microcosmo ovattato che un giorno viene sconvolto dall’inspiegabile sparizione di un bambino di quattro anni, e non solo.
Come veniamo presto a sapere, infatti, nell’arco dei tre giorni precedenti il Natale del 1999, in un piccolo villaggio minerario delle Ardenne, Olloy, al confine tra Francia e Belgio, dove vive il 12enne Antoine (Jeremy Senez) con la sua amorevole madre Blanche (Sandrine Bonnaire), succede un po’ di tutto: il cane del vicino muore accidentalmente, il piccolo Rémi non torna più a casa e una tempesta devastante rade al suolo mezzo paese, provocando morti e feriti, e nascondendo forse per sempre le tracce del povero Rémi. Sappiamo fin da subito cosa è effettivamente accaduto al bambino, quindi la suspense del film non è data da questo, bensì da come l’unica persona che sa qualcosa di questa misteriosa sparizione, il suo amichetto Antoine, riesca a tenere nascosta la verità, sobbarcandosi un peso morale enorme. Indagini della polizia, battute di perlustrazione nella foresta che vedono coinvolta l’intera comunità, indizi e sospetti: tutto viene spazzato via dalla “tempesta del secolo”, che azzera ogni cosa.
Quindici anni dopo, Antoine è un giovane medico (da adulto il suo volto è quello di Pablo Pauly), vive lontano da Olloy e vi fa ritorno per qualche giorno, dopo molti anni, per trascorrere le feste natalizie con sua madre. Alcune cose sono cambiate, altre sono rimaste le stesse: il suo vecchio rivale in amore è diventato un povero diavolo, la ragazzina di cui era innamorato da piccolo è ora tutta per lui… La ferita per la perdita del piccolo Rémi è ancora aperta, e nella foresta dove un tempo si cercava il bambino sono in atto operazioni di disboscamento che potrebbero riservare qualche sorpresa.
Tra bugie, omissioni, amori nascosti e doppi giochi, è il confine sottile tra innocenza e colpevolezza che esplora questo noir di provincia, molto ben intrecciato e ben interpretato (nel cast, anche Charles Berling e Philippe Torreton) che per gradi svela segreti inconfessabili che coinvolgono anche chi non ti aspetti, fino a lasciarti un’amarezza di fondo per i compromessi che si arrivano a fare nella vita e per una giovanissima anima che forse non avrà mai giustizia. Bastano tre giorni per cambiare il corso di un’esistenza, ci dice questa storia, e per espiare le proprie colpe si può essere condannati a una galera che non è quella con le sbarre e i secondini, ma semplicemente casa tua.
Trois jours et une vie è prodotto da Gaumont e Mahi Films, ed è coprodotto da France 3 Cinéma, Ganapati, La Company de la Seine e i belgi di Umedia. Gaumont si occupa delle vendite internazionali.
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